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13/10/2003

Mondiale 2003: Quello che luccica...


Commento di Luca Olivato

Adesso che è finito questo campionato, possiamo tirare le considerazioni di un'annata che resterà, a ragione, nella storia della disciplina, non fosse altro perchè consacra per la sesta volta è la quarta di fila è Michael Schumacher campione del mondo. Un record che, oltre a poter essere ulteriormente migliorato nel prossimo futuro, è destinato a rimanere imbattuto per moltissimi anni: quello precedente di Fangio è durato per oltre 40 stagioni, e se si considera che l'unico altro pilota in attività ad aver vinto un titolo è Jacques Villeneuve, il cui futuro nella massima serie è ancora tutto da scrivere, si capisce meglio la portata del trionfo del tedesco. Il 2003 segna anche la quinta vittoria consecutiva della Ferrari nell'ambito costruttori: anche in questo caso si può parlare di record, visto che l'impresa non è riuscita a nessun altro team. Ma soprattutto, cosa ben più importante, il campionato di Formula 1 appena conclusosi ha riportato sulle piste quello spettacolo che da tempo attendevamo di vedere: solo nel 1999 c'era stata una simile bagarre, quando "guarda caso" era venuto a mancare il Kaiser.

Una stagione che merita di essere analizzata, sviscerata, poichè aldilà degli entusiasmi per le lotte all'ultimo sangue, sono permanse alcune zone d'ombra inquietanti, che fanno temere per il futuro di questo sport.

Tutto è iniziato a Melbourne i primi di marzo: come ci si può dimenticare del caos nel quale hanno versato le scuderie, consce solo prima di scendere in pista del nuovo regolamento? In quella occasione vinse David Coulthard, il cui record di vittorie senza conquista di titolo iridato è divenuto 'emblema della sua carriera; poi è arrivato il successo di Raikkonen, il primo del giovane finlandese, in Malesia; in Brasile ha trionfato, con dieci giorni di ritardo, lo splendido Giancarlo Fisichella, a San Marino è stata la volta del campione del mondo che pareva poter ammazzare il campionato, avendo infilato altri due successi di fila (con un finale in volata a quattro in quel di Montreal). Per fortuna ci hanno ripensato le Michelin, prima ancora che le Williams, a rimescolare le carte in tavola: Ralf ha tirato fuori il lato migliore di sè durante i GP d'Europa e di Francia, e Montoya, non volendo far da spettatore, ha bissato il successo di Montecarlo con quello di Hockenheim. Tra le doppiette delle vetture bianche e blu si sono inseriti Barrichello a Silverstone, con una gara divertente e piena di colpi di scena (forse la più bella della stagione), e Alonso, il giovane spagnolo in grado di ottenere pole position e vittoria al termine della prova ungherese. Nel mentre si facevano più insistenti le critiche nei confronti dell'anziano campione in carica, la cui leadership era minacciata da Williams e McLaren, praticamente a pari punti.
Il Gran Premio dìItalia, fedele alleato della scuderia rossa, vedeva tornare al successo Michael Schumacher; quello degli Stati Uniti quasi metteva la parola fine sul campionato piloti, che diveniva realtà, assieme a quello costruttori, con il merito della vettura numero 2 a Suzuka.

Di emozioni, se ne sono vissute.
Molte sono state frutto delle incerte condizioni meteorologiche (anche se di gare bagnate ve ne sono state soltanto un paio), altre dei nuovi regolamenti mal digeriti dalla Ferrari e apprezzati invece dai diretti concorrenti, altre ancora dovute alla bravura di team e piloti sempre più convincenti.

La scuderia di Maranello (voto 8) stava per pagare le spese delle nuove qualifiche e della nuova assegnazione dei punti. Una chiave di lettura del delicato momento che la Ferrari ha vissuto durante la parte centrale della stagione puà essere data dalla considerazione di tre elementi: pneumatici, affidabilità, e calo di Schumacher. Che la F2003-GA si sia rivelata meno sicura della precedente è un dato di fatto, confermato dall'interruzione di podi consecutivi che aveva caratterizzato le ultime tre stagioni; parte di questo problema è invero da imputarsi alle gomme Bridgestone, che la F2002 sembrava sfruttare molto meglio. Un altro limite della scuderia italiana, a prescindere dal peggioramento effettivo o soggettivo dei pneumatici, è stato il legame a doppio filo creatosi con Michael Schumacher. Per una volta (forse la prima) nella sua carriera il campione tedesco ha accusato un momento di debolezza, che ha allontanato tutto il team dalla zona alta del podio. Ci viene davvero difficile pensare una Ferrari senza Kaiser, ma questa ipotesi potrebbe divenire realtà, prima o poi. L'idea èquella che Schummy, vedendosi un domani sopravanzato da altri piloti, preferisca anticipare il suo ritiro dal circus iridato. Sia come sia, la sua stagione è stata sofferta: una sofferenza che si leggeva anche sul suo volto alla cerimonia di "incoronazione". Anche se Schumacher (7/8) è stato ancora una volta il pilota più vincente, il brusco ritorno alla realtà dopo un anno su un altro pianeta si è fatto pesantemente sentire: la consapevolezza di dover rimettersi in gioco a trentaquattro anni, quando si pensa di aver dimostrato a sufficienza la propria classe, è un duro colpo al quale non tutti riescono a reagire. Ma lui ce l'ha fatta, e il risultato logico è stato un successo, il sesto, che seppur tirato diventa storico, leggendario.
Merito anche di Rubens Barrichello (7). Pure in questa stagione il brasiliano ha sofferto più del compagno di squadra delle bizze della sua monoposto. Ha vinto un ottimo Gran Premio in Inghilterra, ma ancor più prezioso e significativo è stato il successo nipponico, che riassume la stagione del numero 2, sempre pronto a farsi valere quando chiamato in causa.

La Williams (8), pur avendo gettato alle ortiche qualche occasione, può ritenersi soddisfatta del bilancio di fine stagione, avendo quadruplicato il numero di successi rispetto la passata stagione, ed essendo rimasta in lizza sino all'ultimo per il campionato costruttori. Una partnership fruttuosa con la BMW, che all'inizio dell'anno sembrava destinata a sfaldarsi clamorosamente, e un ottimo supporto della Michelin, sono stati i punti di forza della scuderia di Sir Frank e Mr. Head. A corrente alternata il rendimento dei due piloti: Ralf (6), che sembrava aver preso coscienza delle proprie capacità dopo i GP d'Europa e di Francia, ha infilato una serie di risultati poco positivi, gettando definitivamente la spugna a Monza. La gara di Suzuka riassume la sua annata: il giro veloce simbolo di una notevole forza, viene sminuito dai numerosi errori, sintomo di una mancanza di continuità.
Del resto sono gli stessi limiti che sembrano affliggere Juan Pablo Montoya (6/7). Vincente a Monaco e in Germania, il colombiano pareva essere il principale candidato alla vittoria: ma i suoi cedimenti psicologici, prima a Monza (leggeri) e poi a Indianapolis (evidenti) lo hanno tagliato definitivamente fuori dai giochi. C'è ancora troppa cart che scorre nelle sue vene, ma siamo certi che le sue doti possano molto presto essere premiate.

La McLaren (5) merita un discorso a parte, visto che ha speso la maggior parte delle proprie energie in un progetto flop, quello della MP4/18, ed è un peccato perchè da quando è tornata a lavorare sul vecchio telaio si sono visti subito i risultati. Nel complessivo una buona stagione, salvata però più dal talento di Kimi Raikkonen (9) e dalle tattiche di Ron Dennis che da meriti del mezzo.
Il finlandese è cresciuto in fretta, imparando i limiti del mezzo a disposizione e sfruttandoli al massimo. Pur con un solo successo (che, unito alle due pole position, rappresentano comunque un buon bottino), ha lottato sino all'ultimo per il titolo iridato, ottenendo ben dieci podi. Numeri importanti, che stanno a indicare le qualità intrinseche del giovane pilota, bravo a tenere i nervi saldi anche nei momenti più difficili: sarà la nazionalità, sarà il self-control, fatto sta che è davvero difficile non lasciarsi andare a scoramenti anche quando si sa che si lotta ad armi impari.
A dimostrare che la McLaren non fosse un fulmine ci hanno pensato le prestazioni di David Coulthard (5). Non sappiamo davvero più che pensare dello scozzese: dopo una buona apertura ha inanellato una serie di risultati quasi imbarazzanti se confrontati con quelli del meno esperto compagno. Solo nel finale di stagione si è ripreso: forse perchè aveva trovato il giusto feeling con la monoposto modificata, forse perchè aveva qualcosa da dimostrare ai suoi superiori per rinnovare l'intesa che lo ha portato ad essere il pilota più fedele della storia della F1. Le attese per la prossima stagione però sono elevate, e non crediamo che David possa permettersi altre annate scialbe.

Tutt'altro che scialbe, invece, sono state le prestazioni della Renault (8). Guidata dal mago Flavio Briatore, la scuderia transalpina ha ottenuto risultati al disopra delle aspettative. Laddove peccava il motore ci hanno pensato il telaio e soprattutto i due piloti a fare del 2003 una stagione importante per la casa francese. Diciamo la verità, il merito è principalmente di Fernando Alonso (9), splendido protagonista dalla prima all'ultima gara. Con due pole e una clamorosa vittoria lo spagnolo si è conquistato il trono "del più giovane" e ha portato in carniere una dose massiccia di punti, limando ancor di più il gap con le tre maggiori scuderie. Non è mancato qualche lieve errore di gioventù, nulla che non possa essere perdonato.
Una stagione non altrettanto positiva per Jarno Trulli (5+). Avremmo voluto vedere anche lui salire sul gradino più alto del podio: invece ci siamo dovuti accontentare di un melanconico terzo posto a Silverstone. Battuto in molte (forse troppe) circostanze dal meno esperto compagno di squadra, il pescarese ha dovuto vedersela anche con la malasorte, che lo ha condizionato in più di un'occasione. Non un campionato fallimentare, per carità, ma il Trulli che abbiamo imparato a conoscere in questi anni può fare, sa fare, molto di più.

Più di così non poteva fare la BAR (6), che con un colpo di coda strappa la quinta posizione in classifica. Al via della stagione c'erano pesanti nubi sul futuro della scuderia, che si sono andate dissolvendo man mano che la Honda prendeva piede nel progetto della vettura, andando ben aldil� della fornitura del motore. Purtroppo sul rendimento generale della scuderia hanno influito sia le gomme Bridgestone sia le lamentele di Villeneuve (3).
Il triste campione del mondo ha vissuto l'ennesimo annus horribilis, ma anche lui ci ha messo del suo per rendere la vita impossibile all'intero team: i continui attacchi al compagno di squadra e alla società in generale non solo non hanno giovato a nessuno, contribuendo anzi ad innervosire il canadese che, nei tentativi di dimostrare la propria superiorità, è incappato in figure barbine, come la chisciottiana lotta con le Minardi al GP di casa. Di conseguenza è arrivato il licenziamento (anche se non ammesso ufficialmente), che è coinciso con la miglior gara della stagione per la BAR è forse non è un caso. Solo se Jacques saprà essere meno esigente dal punto di vista economico e troverà una perduta umiltà, avrà possibilità di tornare ad essere grande in F1. Ma gli anni corrono anche per lui, e dopo un lustro realmente buttato via (le sue doti non sono servite affatto per far crescere la scuderia), è giunto il momento di capire cosa si vuol fare da grandi. E noi, stanchi di ricordarcelo raggiante sul podio di Jerez, ne attendiamo un ritorno efficace.
La serenità non è mai mancata a Jenson Button (7), anche se l'inglese ne avrebbe avuto ben donde: nonostante i risultati deprimenti delle prime gare, con sforzi estenuanti per raccattare una misera ottava posizione, la concentrazione di Jenson non è mai venuta meno. I suoi sforzi sono stati ricompensati con i giri al comando negli ultimi due appuntamenti, e con la consapevolezza di aver salvato una stagione che si preannunciava fallimentare per la BAR. Ancora complimenti per la maturità di Button.

Maturità ed esperienza che non sono servite alla Sauber (6), autrice di un'annata senz'infamia nè lodo. Vettura conservativa, tattiche di gara conservative, piloti conservativi: insomma una mentalità buona per mantenere un posto a metà classifica (anche se in quella bassa), che contraddistingue da diversi anni la politica degli elvetici. Che Peter stia attendendo con trepidazione la nuova galleria del vento nella speranza di progetti migliori non è un segreto, anche se si sarebbe potuto lavorare un po' di più sulla monoposto di questa stagione. I pneumatici giapponesi sono stati un limite, ma v'è da dire che il supporto dei due piloti teutonici è stato tardivo, seppur gradito.
In particolare ci ha sorpreso in negativo la stagione di Heinz-Harald Frentzen (5/6). Da noi sempre lodato, in passato, per prove generose e concrete, in questa stagione è stato soltanto evanescente. L'ultimo spunto, da campione che vuole andarsene a testa alta, lo ha avuto a Indianapolis, con un terzo posto da incorniciare. Ma oramai la frittata era fatta, e la mancata conferma nel team che lo lanciò nel lontano 94 sembra condannarlo definitivamente al campionato DTM. Se ciò dovesse accadere sarebbe un vero peccato, poichè Heinz lascerà un vuoto nel cuore di tutti gli appassionati.
Il compagno di bandiera Heidfeld (4/5) è stato a sua volta molto poco concreto: certo, non aveva tra le mani una monoposto super competitiva, ma non ci ha messo molto del suo per sollevarla dalla classifica. Anche per lui una ritrovata competitività nel finale, a giochi ormai fatti: una stagione storta però può capitare, specialmente alla sua età è speriamo pertanto che riesca a trovare un abitacolo per la prossima stagione, visto che Nick ci ha abituato a standard ben diversi.

La parola standard è di casa alla Jaguar (4/5), invece: ennesima stagione negativa. Troppo pochi i risultati ottenuti, soprattuto in relazione al budget disponibile e alle gomme Michelin che rappresentavano un valore aggiunto. Pessimo il motore, beffato persino dal suo predecessore in quel di Interlagos. La confusione ai vertici del team ha lasciato spazio a una seconda metà di stagione più concreta. Ne ha beneficiato la voglia di fare del promettente Webber (7), che, a dispetto dell'inesperienza, ha preso per mano il team angloamericano e ha tentato di risollevarlo dalla polvere. Molto buoni i suoi giri di qualifica in prova: purtroppo quando si è trattato di tradurre certi ritmi in gara l'affidabilità è venuta meno, e con essa i risultati. A metà campionato è arrivato Justin Wilson (6+), forse un po' stordito da una repentina salita di grado è e ciò si è riflettuto anche nelle sue prestazioni. Il punto raccattato a Indianapolis è, tutto sommato, la dimostrazione che lo spilungone inglese nasconde delle buona potenzialità: di certo era illogico pretendere di più da un pilota molto inesperto e all'esordio con una realtà difficile come quella della Jaguar.

La stagione della Toyota (4), pur con un crescendo finale, non si può affatto dire positiva. Anche qui gli investimenti sono stati cospicui e i risultati un po' troppo striminziti. E' mancata, durante tutto l'anno, l'affidabilità - le prestazioni sul singolo giro sono state in generale superiori rispetto a quelle passate. Perciò non crediamo avrebbero potuto far di più i due piloti.
Olivier Panis (7) ha svolto un lavoro eccezionale nello sviluppo del progetto. La sua serenità, unita alla grande esperienza, sono state molto preziose: se il francese non è riuscito a cavarsi qualche soddisfazione di più è stato solo per motivi tecnici. Dopo una stagione del genere sarebbe delittuoso appendere il casco al chiodo: la scuderia potrebbe avere ancora molto bisogno del suo aiuto; al contempo Olivier ha (quasi) sempre dimostrato di esserci. Bravo anche Cristiano Da Matta (6/7): non nascondiamo i nostri dubbi sulle sue qualità all'inizio della stagione. Per fortuna il brasiliano è riuscito a fugare tali perplessità prima che queste affliggessero anche i vertici aziendali: dopo un avvio stentato ha dimostrato di saperci fare, tenendosi dietro in alcuni casi il più esperto Panis e guidando per alcuni giri addirittura in testa al gruppo a Silverstone. Di margini di miglioramento ce ne sono, e speriamo che Da Matta abbia le possibilià e le capacità di mostrarceli in futuro.

Il termine futuro è invece un'incognita per la Jordan (1), al suo anno più critico. I pochissimi fondi racimolati da patron Eddie sono stati a malapena sufficienti per garantire ai calabroni gialli di ronzare sino alla fine; al taglio di personale si sono aggiunti quelli sugli aggiornamenti. La vettura B, attesa per Silverstone, in realtà non è mai arrivata, e i due piloti si sono trovati costretti a terminare la stagione con la stessa monoposto con cui avevano iniziato il loro cammino: una vera via crucis per entrambi, considerando anche le scarse capacità del motore Ford datato 2001, e dei pneumatici Bridgestone.
Per fortuna ci hanno pensato alcune lungimiranti tattiche e il talento di Giancarlo Fisichella (10), autentico campione, ad evitare il tracollo totale. Tredici dei quattordici punti della Jordan sono merito suo, e rappresentano un risultato che, a conti fatti, va ben oltre le più ottimistiche aspettative. Tutto merito delle due gare di Interlagos (con un successo fortunato e sbalorditivo) e Indianapolis, in cui la palese inferiorità del mezzo è stata annullata dall'asfalto bagnato. In quelle occasioni Fisico ha danzato sulla pioggia, ma l'intera sua annata è stata esemplare, per quanto i risultati suggeriscano il contrario. Non ha commesso un errore, nemmeno piccolo, il pilota romano, e ha dimostrato a tutti le proprie doti. La scuderia perde un pezzo fondamentale per la prossima stagione: e speriamo che Giancarlo possa presto avere a disposizione una vettura vincente. Poche parole invece per Ralph Firman (5): il pilota irlandese è stato travolto dalle traversie in cui ha navigato il team, e le sue prestazioni, anche se non scandalose, sono state messe in crisi da quelle del compagno di squadra. Un brutto incidente in Ungheria ha completato un'annata che Ralph è però riuscito a salvare con un punto mondiale, purtroppo inutile alla causa dei suoi.

La Minardi (4) ha a sua volta vissuto momenti delicati, ed è stata salvata da Bernie Ecclestone in persona: vuoi per evitare perniciose polemiche relative all'elettronica (che sarebbe dovuta sparire dopo il GP di Spagna), vuoi perchè, con un altro pezzo in meno, la F1 rischiava il collasso, il team di Faenza è stato traghettato abbastanza serenamente sino alla fine della stagione. Non è mancata l'inventiva ai romagnoli, con aggiornamenti nuovi ad ogni appuntamento: tuttavia il motore vintage, buono più per collezionisti di monoposto che per competere con i colossi dell'automobile, ne ha reso vani tutti gli sforzi. Buona l'affidabilità, recuperata nel finale di stagione, meno convincente l'apporto dei piloti. Jos Verstappen (5) si è dato daffare soprattutto per terminare le gare: ha contribuito alla causa con un buono sponsor e con prestazioni concrete. L'olandese ci è sempre piaciuto: non era questo l'anno per assistere alla sua riscossa, ma nel complesso non ce la sentiamo di giudicarlo troppo severamente.
Giudizio "soft" anche per il danese Kiesa (ng), arrivato di punto in bianco a sostituire Wilson: uno scorcio di stagione nel quale ha cercato di imparare i segreti del mestiere, sperando che i futuri accadimenti restituiscano alla Minardi quel briciolo di competitività in più, giusto per mettersi in mostra.

Una piccola appendice anche per chi ha fatto da comparsa, perchè in questo strambo mondiale ci sono stati più piloti che in passato. Una prima nota per Antonio Pizzonia (4), sul quale la Jaguar ha tirato dei giudizi forse un po' troppo affrettati. Al brasiliano era stata data una grossa opportunità, ma è stato chiamato fuori causa proprio quando sembrava essersi sbloccato. Chissà che qualcuno non gli dia un po' più di fiducia in futuro.
Zsolt Baumgartner (ng) ha coronato il suo sogno di correre in F1 sostituendo al GP di casa lo sfortunato Firman della Jordan. I suoi talenti (monetari) hanno convinto il team a riproporlo anche nella gara di Monza: pur essendo surclassato da Fisichella ha portato a termine dignitosamente le prove.
Marc Genè (6/7) (pilota d'altri tempi, a detta di Mazzoni forse solo perchè non ha creato problemi alla galoppata di Schumacher) è stato gettato nella mischia quando meno se l'aspettava: in soli due giorni è riuscito a calarsi nell'atmosfera giusta e a portare a casa punti preziosi per la Williams è un plauso al simpatico iberico, che da vero professionista si è fatto trovare pronto al momento del bisogno. Chissà che qualcuno non lo abbia notato, e gli possa offrire la possibilità di un impiego a tempo pieno.
Takuma Sato (7), infine, non ha fatto rimpiangere Villeneuve nel GP di casa: laddove l'anno scorso aveva ottenuto una sesta posizione con la Jordan, ha bissato il risultato con la BAR, assicurandosi, oltre alle simpatie del caloroso pubblico, un posto da titolare in un team sempre più votato a oriente.

Ci sarebbe per la verità piaciuto continuare ad analizzare le prestazioni dei vari team, ma ahimè nel 2003 abbiamo raschiato di nuovo il fondo. Solo fino all'anno scorso speravamo di vedere salire a 24 il numero dei piloti in griglia (con altre due posizioni libere per regolamento), mentre siamo qui a constatare che soltanto 20 sono state le monoposto a prendere regolarmente il via, in questa stagione. Quanta delusione pensando che al'inizio degli anni novanta e alle tante defezioni sin qui registrate! E' da troppo tempo che nessun privato decide di tentare l'avventure nella massima serie: l'ultimo è stato Stewart nel 1997, anno in cui, forse, le richieste economiche erano ancora affrontabili da qualche eletto. Oramai sembra che non ci più alcun team all'orizzonte, e le speranze di allargare il parco macchine sono riposte nei grandi costruttori dal budget illimitato. Ci sono proposte per consentire, a chi se lo può permettere, di schierare una terza vettura: ma è davvero questa la soluzione per salvare la F1? Non sarebbe il caso di pensare a una diversa redistribuzione dei proventi televisivi? Non pare equo che venga premiato unicamente chi ha già tanto e non si lascino che le briciole a quelli che, a conti fatti, rendono lo spettacolo interessante. E' anche grazie alle Jordan, alle Sauber, alle Minardi che c'è un interesse nel seguire questa disciplina. Le Arrows negli anni passati hanno dimostrato di poter battagliare per le posizioni centrali, e così le Prost in quelli precedenti. Non c'era davvero modo di salvare questi due team? Secondo noi sì: tant'è vero che alla paventata possibilità di un ritiro della Minardi si è mosso addirittura Ecclestone. Come dire: abbiamo bisogno anche di voi. Non dimentichiamoci che numerosi costruttori sono diventati noti anche e soprattutto grazie all'azione di privati. Ecco una delle sfide per il futuro: aumentare il numero di partecipanti, aumentare la varietà di motori (auspicabile un ritorno di Lamborghini, Peugeot, Porsche, ecc), di carburanti, di pneumatici: per rendere lo spettacolo più divertente e incerto.

C'è poi una seconda questione che ci sentiamo in dovere di analizzare, in conclusione: E' quella che riguarda i circuiti. Assistiamo di anno in anno ad un appiattimento generale delle piste: pur di guadagnare si sfigurano piste o se ne costruiscono ad hoc nelle più disparate parti del mondo. Pensiamo al Montecarlo 2003: sempre più largo, sempre più simile ad un tracciato permanente. E l'anno prossimo si rifaranno anche i box, per ragioni di spazio. Ma come? Nel 1994 c'erano 28 vetture e tutto andava bene (non parliamo del 90 o del 91) e adesso con solo 10 scuderie si sono accorti che i box sono stretti? A che pro falcidiare un circuito storico, tentando di renderlo più facile? Per sorvolare poi sui "falsi" GP degli USA e Malesia (con tribune spaventosamente vuote) e "dall'anno prossimo" di Cina e Barein.
Speriamo che chi li costruisce se ne intenda di automobilismo, e non solo di capienza di pubblico.

Come si capisce il futuro è tutto tranne che roseo. Auguriamoci che chi sta al comando si renda conto di questa situazione e che prenda provvedimenti adatti.
A noi appassionati non resta che attendere i 146 giorni per sentire riaccendersi i motori. E allora, quello che conterà, saranno solo le emozioni in pista.