Il nome di Riccardo Patrese per gli appassionati di Formula Uno che hanno passato i quarant’anni di età non è semplicemente portatore di ricordi di un passato eroico per la massima formula a ruote scoperte: è un vero e proprio paradigma di nostalgia, quella che si prova ancora oggi, anzi oggi a maggior ragione, per una Formula Uno che spesso parlava italiano. Lui, Andrea De Cesaris, Elio De Angelis, Michele Alboreto, Teo Fabi, Bruno Giacomelli, la fugace e dolorosa apparizione di Riccardo Paletti, Pierluigi Martini, poi Jarno Trulli, Giancarlo Fisichella…sembra impensabile oggi che una così lunga lista di nomi dal suono per noi familiare abbia animato questo sport.
Patrese è stato uno dei più rappresentativi e dei più vincenti, con i suoi 256 gran premi disputati, in anni in cui il Campionato del Mondo non annoverava tutte le date che ha in programma da qualche anno a questa parte. Numeri da veterano bagnati per sei volte dallo champagne che dal primo gradino del podio piove su quelli sottostanti.
Indimenticabile la sua prima vittoria, quella volta al Gran Premio di Montecarlo del 1982, gara talmente rocambolesca che dopo aver tagliato il traguardo con la sua Brabham Patrese ancora non aveva capito di aver vinto; primo gran premio dopo la tragedia che a Zolder aveva portato via Gilles Villeneuve.
Dagli inizi con la Shadow nel 1977 fino all’ultimo anno con la Benetton nel 1993, Riccardo il padovano, profilo aquilino e occhi dallo sguardo gioviale, ha attraversato due ere geologiche, se pensiamo alla Formula Uno nella quale ha esordito e a quella che ha lasciato sedici stagioni dopo. Come a dire che ha cominciato quando ancora c’erano le cosiddette scuderie - meteora e la meccanica ancora era la parte dominante di un mondo che stava per essere stravolto dall’elettronica e ha lasciato quando le monoposto erano già diventate un compendio di tecnologia poggiante su quattro pneumatici.
Ha avuto forti contrasti con più di un pilota del Circus, come per esempio accadde con James Hunt, che dopo il tragico Gran Premio di Monza del 1978 lo aveva accusato di aver innescato durante la partenza la carambola che aveva portato sull’incidente in seguito al quale perse la vita Ronnie Peterson. Ne seguì un processo durante il quale per Patrese venne chiesto addirittura l’arresto, dal quale uscì assolto con formula piena. Tempo dopo venne fatta piena luce sull’episodio e si capì che il vero colpevole era stato proprio Hunt. Con altri suoi colleghi Patrese invece ha avuto saldi rapporti di amicizia: Michele Alboreto per esempio, o Nigel Mansell, anche. In un modo o nell’altro, rapporti non banali, che sono indicativi di una personalità forte e strutturata, come evidenziava anche il suo stile di guida, esibito sin dagli esordi: molto veloce, grintoso, predisposto al duello, alla staccata ritardata fino all’ultimo istante possibile per poi trovare lo spunto vincente in accelerazione.
Era stato un atleta, prima di diventare un pilota, soprattutto come nuotatore: Patrese tra i suoi ricordi sportivi in senso lato può annoverare anche quello di essere stato un “collega” di Novella Calligaris, visto che a Padova aveva fatto parte della stessa società sportiva delle grande nuotatrice.
Un grande pilota italiano, negli anni della Formula Uno forse più bella di sempre; uno che avrebbe potuto vincere di più, se non fosse nato in mezzo a due generazioni di fuoriclasse; uno di quelli che hanno lasciato il segno, non solo per le strisce di pneumatico sull’asfalto.
Foto amp.formula1.com
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