Al termine del Mondiale 2022 avevamo maturato una “certezza”, della quale col senno di poi sono rimaste solo le virgolette: Sergio Perez avrebbe smesso definitivamente di fare lo scudiero di Verstappen. Sono, del resto, le intenzioni con le quali ha iniziato la stagione 2023. Poi, cosa è accaduto?
Questione articolata, oltre che vero e proprio bivio esistenziale, in ambito sportivo, per un pilota che anagraficamente è entrato nel pieno della maturità e che al tempo stesso è entrato in un loop di inconcludenza prestazionale figlia, probabilmente, di una sopraggiunta incertezza nei propri mezzi. Possibile, per uno del livello di Perez? Possibile, sì, quando agiscono determinate concause. Nel caso di Perez sono perlomeno due: la frustrazione indotta dal confronto con un Verstappen mai così “marziano” e, fuori da ogni semplicismo, il fatto che la RB - 19, oltre a essere “la stessa macchina” che guida Perez - concetto talmente ovvio da risultare di per sé superficiale - è anche una monoposto tagliata su misura per il profilo di guida di Verstappen, il che si sta dimostrando vantaggioso al massimo grado per il team ma molto meno per il pilota messicano.
Nel frattempo, le dichiarazioni di Marko sul fatto che Perez sia diventato improvvisamente un “pilota a tempo”, lo indeboliscono nei confronti del team, del compagno di squadra (ulteriormente), persino degli avversari, in un modo o nell’altro.
Il paradosso di Perez, in questo momento, è esattamente questo: è uno dei due piloti della scuderia dominante per distacco - anche se la Mercedes sta per accorciare le distanze - e al tempo stesso la Red Bull è, per lui e per le sue doti, il posto peggiore dove stare. Sappiamo bene cosa augurargli.