Non il privilegio di essere nata ricca, perché quello da solo sarebbe risultato solamente banale, per quanto invidiabile; quello di avere un padre appassionato di automobili il quale nel trasmettere la sua passione ai cinque figli non fece differenza tra i maschi e lei, Maria Teresa De Filippis, nata a Marigliano, in provincia di Napoli, l’11 novembre del 1926, dal Conte Serino e dalla moglie di lui, Narcisa Anselmi Balaguer Roca de Togores y Ruco y Perpignan. I mezzi finanziari, certo, ma soprattutto la libertà di poter mostrare prima interesse, poi passione per il mondo dei motori. In un’Italia in cui guidare era appannaggio di pochissimi e tra quei pochissimi le donne erano mosche bianche.
È una storia, la sua, che non va raccontata con piglio femminista, perché sarebbe uno dei modi per banalizzarla, se non addirittura mortificarla. Va narrata come paradigma dell’affermazione individuale, nella fattispecie quella di una ragazza che fu una presenza inconsueta in un panorama esclusivamente maschile e il fatto che fosse una ragazza metteva in imbarazzo la maggior parte di quelli che se la trovavano accanto sulle varie griglie di partenza. Non certo lei, che badava a dare il meglio in pista e che si infastidiva per i mazzi di fiori con i quali gli organizzatori pensavano di usarle un riguardo, mentre sottolineavano la “stranezza” della sua presenza, non la bravura che le aveva fatto meritare abitacoli sempre più prestigiosi, nel tempo, cilindrate dalla cubatura sempre più elevata.
La prima gara, 500cc, nel 1948, poi un crescendo di competizioni e di motoristiche potenze, con un legame sempre più stretto con il marchio Maserati: nel biennio 1953-1954 passa alla guida di una Osca 1100. Con la piccola vettura del Tridente vince la 12 Ore di Pescara, il Trullo d’Oro, la Catania-Etna e i circuiti di Caserta e Siracusa. Il salto di categoria arriva nel 1955 quando la de Filippis è al volante della Maserati 2000 A6GCS con cui ottiene la vittoria alla Catania-Etna con un tempo record rimasto imbattuto per i successivi tre anni. Da “Pilotino”, omaggio alla sua minuta grazia, il suo soprannome vira in “La Diavola”, testimonianza di grinta e talento.
La verità è che avere una donna al volante, in quei primi anni Cinquanta, permette agli organizzatori degli eventi su quattro ruote di attirare un pubblico folto e molto più interessato grazie a lei. Questo Maria Teresa lo comprende bene da subito, ma non lo condivide nemmeno un po’: non vuole essere l’attrazione paragonabile a un fenomeno da baraccone; vorrebbe solo essere giudicata per quanto è o non è brava al volante.
Gara dopo gara dimostra di esserlo al punto tale da meritarsi la Formula Uno, quella pericolosissima e totalmente priva di protezione della fine degli anni Cinquanta. Nel Campionato del Mondo del 1958, si iscrive a cinque gran premi. Non riesce a qualificarsi a Monte Carlo, arriva decima in Belgio, si ritira in Portogallo a causa di un incidente e abbandona la gara in anticipo a Monza per un problema al motore. L’anno seguente, con amarezza, decide di ritirarsi perché, nel frattempo, ha contato troppi cari amici e colleghi che hanno pagato il costo più salato al mondo delle corse: ha visto morire, tra gli altri, Behra, Castellotti, De Portago, Musso.
Era anche molto bella, quasi come una diva, la Diavola De Filippis, ma quasi non avremmo voluto scriverlo, per non cadere in un cliché; forse sottolinearlo ci serve per raccontare con amarezza perché non poté iscriversi al Gran Premio di Francia del ‘58: l’organizzatore Toto Roche rifiuta la sua partecipazione perché - Una ragazza come questa non dovrebbe indossare l’elmetto ma l’asciugacapelli -. Testuale. Proprio per questo motivo, ogni donna venuta dopo di lei nel mondo delle corse, a cominciare da Lella Lombardi e Giovanna Amati, deve ancora oggi ringraziare l’esempio incarnato da Maria Teresa, che nel vivere il proprio presente a modo proprio stava già guidando verso il futuro.
Le tante ragazze, sempre più numerose, che oggi si cimentano nel motorsport, devono a questa ragazza degli anni Cinquanta la possibilità che hanno oggi di essere considerate più o meno brave, senza preoccuparsi di essere brutte o belle, fino al giorno in cui non saranno più nemmeno un’eccezione.
Foto copertina www.theguardian.com
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