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24/12/2023 10:30:00

Terruzzi racconta il lato nero della Formula 1: «Il senso da dare alla vita»


News di Prisca Manzoni

Pochi giorni fa nelle sale italiane è uscito "Ferrari", il film di Michael Mann con Adam Driver che ripercorre attimi tragici, intensi e intimi della vita del Drake oltre a, ovviamente, il lato agonistico. Anni difficili, in cui la morte dei piloti era quasi all'ordine del giorno, uomini narrati come eroi che tanto bruciavano di passione per la competizione da non avere limiti. Su questo spunto, Giorgio Terruzzi ha voluto dedicare l'ultimo articolo di Autosprint al lato oscuro del motorsport. 

"Dunque la mia emozione, la mia commozione, guardando "Ferrari" l'hanno scatenata quelli là. Corridori anni Cinquanta. In quel '57 mori in prova a Modena Eugenio Castellotti che era considerato l'erede naturale di Alberto Ascari, scomparso misteriosissimamente a Monza provando proprio la Ferrari di Castellotti (pur essendo passato alla Lancia). Sempre nel '57, si concluse tragicamente l'avventura della Mille Miglia (prima edizione 1927) con l'incidente che porto via Alfonso de Portago, il suo "secondo" Edmund Gunnar Nelson e nove spettatori, localita Cavriana, poco distante da Guidizzolo, Mantova. I due incidenti compaiono nel film, così come altri piloti della Ferrari. Collins, appunto, Taruffi, che quell'ultima Mille Miglia vinse decidendo di fermarsi immediatamente, mantenendo la promessa fatta alla moglie Isabella. Sono ritratti, tutti, come ragazzi dotati di una spensierata avventatezza, di una vitale energia, destinata alla brutale violenza di quelle competizioni. Giovani uomini innamorati. Della velocita e delle donne che li accompagnavano dentro un destino ad altissimo rischio, alle quali lasciavano lettere d'addio prima di una partenza, perché magari da quelle curve, quelle rette, quell'inferno non sarebbero tornati", ha scritto il giornalista. 

"Il senso da attribuire alla vita"

Sono passati 60 anni, ma certe domande, certi dubbi restano ancora oggi. Le notizie delle morti del motorsport, diventato molto più sicuro, fanno ancora riflettere, specialmente quando si tratta di giovani. Qualche mese fa è venuto a mancare Dilano Van't Hoff, 18enne che correva nella FRECA, mentre a inizio stagione altri piloti delle categorie minori della MotoGP hanno avuto incidenti fatali. E viene da chiedersi perchè, chi glielo fa fare, e loro rispondono che è una passione che hanno dentro. Ma forse, più che semplice ardore, è un modo per scoprire quello che li rende vivi. 

"Sorridevano, scherzavano, correvano incontro al loro tempo con un coraggio che fa impressione e commuove, appunto, perché in questo snodo motoristico c'è un nodo della nostra esistenza. C'è il prezzo dell'intensità, della vitalità, da pagare eventualmente secondo scelta, attitudine, intima libidine. Il fascino del motorismo sta qui. Sta in una storia drammatica ma sportiva. Dove il rischio e compreso, deliberato, dunque spettacolare. Morti da crona-ca agonistica, niente a che vedere con la "nera". Morti per il gusto di vivere. E per questo pronti ad infilarsi in un universo che, visto oggi, fa spavento, fa impressione. Credo farebbe impressione persino a chi è pilota oggi, in condizioni di maggiore sicurezza. Dove uomini che ci somigliano, prendono, vanno, accelerano, sfidano mostrando qualcosa di misterioso e, insieme, grandioso. Il senso possibile da attribuire alla vita, mettendo la vita in un pericolo supremo. Sino a perderla, che importa? Prima o poi finirà comunque. Dunque, lasciami perdere, lasciami andare nel mio magnifico, assurdo, leggendario godimento", ha concluso Terruzzi. 

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