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05/03/2024 19:00:00

Tom Pryce, il destino contro


Articolo di Paolo Marcacci
Il quinto giorno di marzo del 1977, a Kyalami, si corre il GP del Sudafrica. Tom Pryce, partito male, risale quasi subito. Quando la numero 17 di Zorzi accosta con fiamme al motore, arrivano due commissari. Uno raggiunge la monoposto, l'altro ...

Aveva le stigmate del vincente: ebbe solo il tempo di dimostrarlo, non quello sufficiente a goderselo. Perché la Formula Uno degli anni settanta non ammetteva che si potesse dire bravo a chi non lo fosse sul serio. Quasi sempre spietata seduttrice, che lasciava a piedi tanti suoi amanti capitati per caso nel suo letto d’asfalto; spesso signora con la falce, nei giorni maledetti della sua folle potenza.

C’è stato un semidio effimero della pioggia; uno che chiamava amico Giove Pluvio; perché quando le nuvole cominciavano a strizzarsi scurendo il tracciato, lui diventava capace di tenerseli tutti dietro gli scarichi. Che si chiamassero Lauda, Peterson, Regazzoni. 

Lui, non la macchina: su quella che aveva già meritato non fece in tempo a salire. La sua valeva poco e gli restò sempre il dubbio se fosse più lenta o più fragile. 

Sin dagli inizi in Formula Ford si era reso riconoscibile prima per la bravura, poi per quella forma particolare di dominio che il suo talento acquisiva quando gli pneumatici sputavano rivoli d’acqua dalle scanalature. E aveva continuato in Formula Tre, facendosi applaudire anche nelle giornate di sole. 

In ogni caso, dalle sue parti un giorno senza pioggia era più raro di un pub senza Guinness: così amava ripetere, per motivare la sua abilità. 

Il quinto giorno di marzo del 1977, a Kyalami, si corre il Gran Premio del Sudafrica. All’alba della stagione della già avviata consacrazione definitiva di Tom Pryce. Partito male, malissimo; risalito quasi subito, con Stuck e Laffite ormai nel mirino. Giro numero venti. 

Due tornate dopo, l’altra Shadow, la numero 17 condotta da Renzo Zorzi, deve accostare sotto quella specie di tribuna ricavata da una collinetta sopra il rettilineo. Fumo e lingue di fiamma: Zorzi si precipita fuori dall’abitacolo. Occorrono estintori: arrivano due commissari. Uno raggiunge la monoposto, sul ciglio della strada. L’altro non c’è più, semplicemente, quando sta per toccare il cordolo con il piede. 

Si chiama Jansen van Vuuren, cognome olandese come tutti i bianchi afrikaaner. Ha diciannove anni, un passo prima è tutto intero; un passo dopo andrà riconosciuto per esclusione, facendo la conta degli altri, prima di portare all’obitorio ciò che di lui è rimasto. 

Lo hanno evitato per un pelo, scartando sulla destra, Laffite e Stuck; mezzo secondo dopo Pryce, che ha la visuale coperta dagli scarichi degli altri, lo centra a duecentosettanta chilometri orari. 

Se possiamo darvi un consiglio, non andate a cercare altre immagini. 

Ha un estintore in mano, il ragazzo: finisce dritto sul casco di Pryce. 

La Shadow numero 16 prosegue per cinquecento metri, più o meno, senza decelerare, allargandosi verso destra, con un casco distrutto e inclinato in modo innaturale nell’abitacolo. Mani rimaste sul volante, il resto di Pryce è volato via, sul colpo. La vettura finisce in collisione con quella di Laffite, poi si accartoccia come una lattina addosso alle recinzioni. Fuori dall’abitacolo non ha più un volto, Tom Pryce, durante il più vano dei massaggi cardiaci.

Quando diciamo, giustamente, che ci atterriscono ogni volta le immagini dell’incidente di Villeneuve, di quello di Senna, dobbiamo essere grati alle inquadrature dell’epoca per averci nascosto almeno qualche fotogramma di quell’impatto, di quella prosecuzione di traiettoria sempre più larga con un cadavere alla guida. 

Aveva già dimostrato di essere un campione, Tom Pryce; sul bagnato era addirittura un fenomeno. Del resto, bastava averlo conosciuto a dieci anni, quando il fornaio che aveva davanti casa, a Ruthin, in Galles, gli faceva guidare il furgone, senza che arrivasse ancora al parabrezza. 

Foto interna en.espn.co.uk

Foto copertina x.com