Tappe di avvicinamento, potremmo chiamarle così, verso una ricorrenza che in realtà vorremmo fare di tutto per rimuovere, passando dal 30 aprile al 2 maggio con un salto. Una rimozione, appunto. Saranno trent'anni, il primo maggio. Trent'anni che diamo ragione a Lucio Dalla, per quando disse: - Chiedi a chiunque cosa stava facendo il giorno in cui morì Ayrton Senna: tutti saranno in grado di rispondere -.
Ma in mezzo c'è la grandiosità dei ricordi disseminati, quelli che nessun braccetto di nessuna sospensione potrà trafiggere.
Tra quelli, uno che non aveva avuto un termine di paragone in precedenza, non ne avrebbe avuti dopo. Perché lo stesso Senna, come ammise spietatamente nei confronti di se stesso, non seppe più essere quello di quel giorno.
È il 14 maggio del 1988, sul circuito di Monaco. Sabato di qualifiche, Senna che gira ormai per battere se stesso perché, come spesso gli capita, gli altri se li è già messi dietro gli scarichi. A un certo punto, però, avverte la pulsione dover girare una volta ancora, come chiamato da una forza superiore. Dev'essere per questo che, dopo, dirà di aver avuto la sensazione di guardare se stesso da fuori l'abitacolo.
Noi, nel mentre, quel giro lo stavamo vedendo e lo avremmo rivisto mille volte ancora, al punto da tornare oggi a raccontarlo. Senza riuscirci del tutto, nemmeno stavolta: come si fa, del resto, a narrare l'inenarrabile? Noi continuiamo a vederlo dentro l'abitacolo, con l'on-board dell'epoca che ancora una volta ci svela, sempre come se fosse la prima, il modo unico che lui aveva di tenere il volante, con quei piccoli scatti infiniti che fanno pensare paradossalmente ai passi centellinati di un equilibrista.
Monoposto di fine Anni Ottanta, ancora col cambio manuale e la frizione, meccanica che ancora prevale sull'elettronica; l'uomo prende per mano la sua McLaren, la migliore di sempre, per farle provare un giro orgasmico, sapendo che non la farà vibrare mai più a quel modo. Rifila un secondo e mezzo a Prost, più di due a Berger.
Dirà, poi, di essersi sentito in un'altra dimensione, tradotta nelle cifre di quell'1’23”998, senza possibilità di provarla mai più nel prosieguo della sua carriera. Dedicato a tutti noi quando ci sentiamo bravi per aver solo fatto qualcosa di decente.
Foto interna x.com
Foto copertina x.com
Leggi anche: Chiedi alla pioggia, fatti raccontare di Donington '93