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19/10/2009

Gp Brasile - Gara


Gran Premio di Walter Mesiti
Ce l’hanno fatta. Jenson Button, la Brawn e tutti quelli che li hanno sostenuti e ci hanno creduto dall’inizio. Interlagos è ancora una volta il luogo della consacrazione, delle conferme iridate, tempio inossidabile e testimone immobile di una storia che cambia mostrando sempre nuovi eroi. Due titoli vinti in un colpo solo, con una gara d’anticipo rispetto alla fine del campionato. Due titoli dal sapore storico, perché guadagnati da una scuderia esordiente, costruiti dalla prima gara, con una prima metà di campionato che ha massacrato ogni parvenza di ambizione da parte degli avversari, timidi osservatori delle continue vittorie di Button fino al 7 giugno.
E’ da quella data che il fresco campione del mondo di Formula Uno non vince una gara (e nemmeno ottiene con costanza podii). Complice l’incostanza degli avversari della Red Bull e del suo compagno di squadra Barrichello, Jenson è vissuto di rendita fino al momento che tutti ormai sappiamo. Ciò, comunque, non conta: il mondiale è stato vinto con pieno merito da questo ragazzo e dalla sua squadra. E’ una favola a lieto fine come poche oggi se ne vedono in giro: meno di un anno fa la carriera di Button era un’aquila dalle ali spezzate, destinata a precipitare nelle cronache grigie dell’automobilismo senza volare in alto. Nel 2000 l’esordio in Formula Uno appena ventenne, con la Williams motorizzata Bmw. Una grande scommessa del team inglese, con il quale arrivarono i primi esaltanti risultati. Poi il prosieguo sempre più incolore di una carriera che non decollava secondo le aspettative di chi lo vedeva uno dei campioni del futuro prossimo. BAR, Honda… Nomi che hanno accompagnato Jenson portandogli qualche schizzo di gloria, prima con la stagione 2004, quando la BAR era la prima delle inseguitrici a (parecchia) distanza della divina F2004 e di Michael Schumacher, poi con quell’unico raggio di sole della vittoria di Budapest nel 2006, la prima per Jenson. Dopo, il buio. Una notte senza sogni conclusa senza alcuna speranza lo scorso anno, con l’uscita improvvisa della Honda dal Circus e zero possibilità di rientrare almeno dalla porta di servizio.
Lì è entrato in gioco Ross Brawn, meraviglioso tecnico e stratega capace di vestire i panni del direttore d’orchestra e guidare un esercito di uomini verso l’ennesima gloria. Nel mondo delle competizioni da una vita, con tanta capacità e fermezza, è stato l’uomo dei mille successi. Prima la Benetton, proprio con Schumacher. Poi il passaggio in Ferrari, in cui gli anni d’oro sono semplicemente leggenda. E ancora una volta il miracolo tecnico ed economico della Brawn, una sua creazione nata da un progetto parecchio coccolato della Honda, la quale ha studiato una vettura molto buona per poi chiudere la baracca. Un progetto resuscitato da Ross e dai suoi uomini, che nell’arco di pochissimo tempo hanno stravolto ogni previsione e hanno dominato senza difficoltà sulle piste di mezzo mondo. Il doppio diffusore, nato dall’incontro tra la genialità progettuale e l’incapacità ormai conclamata della Fia di generare chiarezza in ogni campo regolamentare, è stato l’arma letale del campionato 2009. Un’interpretazione estrema, giudicata regolare dopo inizio stagione, poi ripresa da tutti gli altri team, con l’inevitabile affanno di chi è in ritardo.
Passa quasi in secondo piano la vittoria di Webber, protagonista di un contatto un po’ al limite con Kimi Raikkonen dopo la partenza. Il finlandese sta tirando fuori il meglio di sé proprio adesso che la sua avventura in Ferrari è già al capolinea. Fa male vedere la delusione di Barrichello, sportivo nel prenderla con filosofia, bersagliato da una iella incomprensibile quando a pochi giri dalla fine una ruota posteriore ha detto no ed è collassata, frantumando un sogno dolcissimo proprio come accaduto a Felipe Massa qui un anno fa, uccidendo una speranza vivissima fino a pochi istanti prima della fine. Un anno fa Hamilton era il re del mondo. Oggi Lewis ha passato di mano lo scettro del più forte al suo connazionale, destinato all’oblio fino a diversi mesi fa. I giochi del destino, gli scherzi della sorte, le decisioni della dea bendata… Chiamateli come volete, la sostanza non cambia: il plasma introvabile dei sogni è tornato invisibile a mescolarsi all’asfalto, all’odore di gomma bruciata, al brivido mortale della velocità, alla forza della competizione, alla benzina che per un interminabile istante ha lambito Raikkonen in corsia box per un errore della McLaren. Sì, l’insegnamento di Jenson Button è che a mollare non si ottiene mai nulla: l’unico senso che fa battere un cuore è lottare. Un trionfo preceduto dalle amarezze e insperabile dopo otto anni di alti e (diversi) bassi. Una conquista dal sapore ancora più speciale, perché inattesa luce del sole in fondo ad un tunnel sempre più lungo. E’ così che dalle ceneri è risorta la figura di Jenson. E’ così che oggi festeggiamo il trentunesimo uomo al mondo ad aver vinto il titolo di campione del mondo di Formula Uno.