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17/10/2024 07:15:00

Le due Americhe di Clay


News di Paolo Marcacci

I baffi e il sorriso non glieli avrebbe mai portati via nessuno, perché tra le tante cose che la sorte ha avuto il potere di portargli via, non c’è l’immagine che di lui ancora oggi esiste, perché resiste. Persiste, anzi, perché è impossibile pensarlo con un’espressione che non sia quella, sedia a rotelle o meno. Chi si fa ricordare con un sorriso spontaneo non muore mai del tutto, anzi: continua a tornare, in questo caso ai box, per una messa a punto rapida, magari un po’ meno meticolosa rispetto a Niki, ca va sans dire. Divagazioni? Oh sì, perché a lui piacerebbero tanto e perché a noi, ora che si avvicina il Gran Premio degli Stati Uniti, proprio lui è venuto in mente, con le sue due Americhe così vicine e così distanti, così agli antipodi dello stesso sorriso e con una vita per ricominciare la quale ci volle, ancora una volta, il respiro di benzina di un motore acceso. 

- Viveur, danseur, calciatore, tennista e, a tempo perso, pilota: così ho definito Clay Regazzoni, il brillante, intramontabile Clay… –: se ci riflettiamo un secondo, tra tanti giudizi e definizioni tagliati con l’accetta, a lui Enzo Ferrari ha dedicato parole morbide, come ad assecondare il mezzo sorriso perenne che la sua resilienza gli ha fatto avere indietro quando ha dovuto lasciare le gambe in dote a una morte che aveva sbagliato di poco la mira

Gianclaudio Regazzoni il ticinese, la prima volta in quella Montecarlo tanto meno glamour che era Long Beach, migliaia di pneumatici e centinaia di bidoni d'olio pieni di sabbia, posizionati a protezione in caso di uscita di pista, reti alte tre metri per proteggere i novantamila e più posti a sedere. 1976 ferrarista di dominio e inconsapevolezza circa le fiamme che qualche tempo dopo sarebbero arrivate senza avvertire; Regazzoni - Lauda è la certificazione di un dominio ma anche una sfida interna tra due uomini, oltre che piloti, che più differenti non potrebbero essere e forse, proprio per questo, si stimano tanto più di quanto non dimostrino



Imprendibile, in qualifica, Clay, che si diverte al punto tale su quel cruciverba d’asfalto da portare in dote alla Rossa la prima pole position di quel Mondiale. Dietro, Depailler, Hunt, Lauda e poi tutto il resto delle venti vetture ammesse in gara. 

- Niki gira troppo sui cordoli. Vedi le gomme bianche? Le mie non sono così. Se domani non si rompe niente , vinco io. Questo è il mio circuito -. 

Dalla luce verde in poi non lo prenderanno più, macchinista di un trenino che si snoda fra curve a gomito e troppo cemento, cambi che tritano ingranaggi e temperature da tenere d’occhio. La prima America di Clay è un podio di sudore e champagne che confluiscono nel sorriso consueto, sotto il troppo sole della California. 

Un circuito che non è mai stato tale, che oggi sarebbe quasi improponibile persino per la circolazione normale. Quattro anni dopo. A duecentosettanta chilometri orari, la Ensign di Regazzoni esce di strada, verso una - cosiddetta - via di fuga, che fuga più non è, a causa della Brabham di Ricardo Zunino che aveva abbandonato la gara e che i commissari non hanno rimosso, per dilettantismo e disorganizzazione. Nella spirale delle lamiere accartocciate, anche la spina dorsale di Clay Regazzoni, di conseguenza le sue gambe inerti, i suoi piedi che non schiacceranno piu alcun pedale. Anche perché un intervento chirurgico, che dovrebbe restituirgli la speranza di camminare, quantomeno, alla resa dei conti peggiorerà invece irrimediabilmente le cose. 

Abbattimento e depressione: inevitabili colonne d’Ercole dell’esistenza, da attraversare per ritrovare il senso della vita. Sempre passando per le razze di quel volante, ora modificato per sopperire alla menomazione; sempre lasciando il proprio segno nel mondo per mezzo di strisce gommate. Perché il sorriso di Clay Regazzoni, avrebbe sempre chiesto un giro in più.

Foto interna commons.m.wikimedia.org

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Foto copertina x.com

Foto interna www.clayregazzoni.ch