Si chiamava René Dreyfus e la sua monoposto era una Blu Delahaye, scuderia Bleue Ecurie.
1938, Germania: se l'automobile è un simulacro di modernità e di efficienza, a maggior ragione l'automobile tedesca deve esserlo più di ogni altra. La superiorità del popolo ariano doveva avere la sua appendice nelle quattro ruote gommate, simbolo di avanguardia per eccellenza. Le corse di conseguenza, non potevano che sublimare il concetto.
Il Terzo Reich che doveva conquistare ogni cosa, non poteva che arrivare primo con i suoi motori: sotto una bandiera a scacchi allo stesso modo di quando c'era ogni landa d'Europa da sottomettere.
Il genio di Ferdinand Porsche era l'ideale braccio ingegneristico per esaudire i desideri del führer in tema di affermazione nelle competizioni motoristiche. Hitler gli diede, più che un input, un vero e proprio ordine: concepire vetture, Mercedes e Auto Union, che sui già numerosi circuiti europei contribuissero all'affermazione della Germania. Una teoria dello "spazio vitale" da occupare a colpi d'acceleratore.
Pau, Francia, 10 aprile 1938: le Mercedes W154 sono pronte a una passerella trionfale, del resto vantano quattrocento cavalli e accorgimenti aerodinamici che sembrano provenire dal futuro. Come se non bastasse, Rudolf Caracciola è il pilota di punta: è il più titolato tra i componenti del NSKK, un distaccamento paramilitare creato apposta per le corse.
Tutto questo non spaventa René Dreyfus, pilota francese, di Nizza. Ebreo. Si è presentato sul circuito con una vettura meno potente delle tedesche, vestito come un damerino, con al seguito una ricca signora americana e un manager pure lui ebreo. A esser buoni, la sua scuderia è allestita in modo artigianale rispetto alle tedesche, presentatesi con uno spiegamento di uomini e mezzi che ricorda un'arsenale.
Poi c'è la pista, i cui verdetti non tengono conto della cornice. In qualifica, sui tornanti sinuosi di Pau, la Blu Delahaye fa leva sull'agilità per compensare la minore potenza motoristica rispetto alle Mercedes. La pole position di Dreyfus è già un moscerino nell'occhio dei nazisti: nulla di più, però, perché i crucchi sono convinti che in gara nessuno potrà reggere il passo, poderoso, delle frecce d'argento. Troppo poderoso: le Mercedes sovralimentate consumano quasi il doppio del carburante rispetto alla Blu di Dreyfuss, che gestisce traiettorie, cambio e quindi consumi da equilibrista, mentre Caracciola e compagni devono effettuare una sosta, avvicendandosi, per il rabboccare il carburante.
Dopo cento giri, Dreyfus taglia per primo il traguardo, con quasi due minuti di vantaggio sulla concorrenza.
Una volta ricevuta la notizia a Berlino, Adolf Hitler è nero, per l'occasione non solo a causa del colore politico: l'onta l'ha subita l'intero comparto automobilistico tedesco, nonostante la massiccia industrializzazione e la profusione di uomini e mezzi, da parte di una scuderia francese con al volante un "Untermensch", un subumano, un pilota ebreo, la più inferiore tra le "razze" inferiori. Contano solo le razze del volante, in questo gioco di parole c'è un insegnamento che va ben oltre l'asfalto gommato e gli effluvi di benzina.
Quando nel 1940 i tedeschi invaderanno la Francia, su mandato del führer alcuni ufficiali della Gestapo cercheranno la Blu Delahaye per distruggerla, dopo aver trafugato i registri con l'ordine di arrivo presso l'Automobile Club de France, nel cuore di Parigi. Peccato che la macchina non sia più lì, spedita negli Stati Uniti, dove ancora oggi è nel parco auto di un collezionista. L'aveva raggiunta, dopo un po' di tempo passato al fronte come camionista nell'esercito transalpino, anche il suo pilota, inviato dalle autorità a disputare la 500 Miglia di Indianapolis. Si sarebbe poi fermato in America, diventando un uomo d'affari nel campo della ristorazione, per sfuggire alla persecuzione.
Si chiamava René Dreyfus, questa è la sua storia.
Foto copertina x.com
Foto interna x.com
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