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30/06/2025 10:00:00

Damon Hill: dolore, determinazione e il fantasma di un padre campione


News di Daniele Muscarella

Essere figlio di un campione del mondo di Formula 1 è un’eredità che può sembrare un privilegio, ma spesso si trasforma in un fardello. Per Damon Hill, figlio del leggendario Graham Hill, due volte iridato, quel cognome ha rappresentato per anni più un’ombra che una luce. Le aspettative, gli sguardi degli altri, l’idea che tutto fosse “dovuto” perché eri figlio d’arte. Ma Damon ha scelto un percorso diverso, più tortuoso e più tardi degli altri. È arrivato in F1 non da enfant prodige, ma da lavoratore del volante. E quando è arrivato, ha dimostrato di meritare tutto: il sedile, le vittorie, il titolo mondiale.

Nel documentario Sky dedicato alla sua carriera, Hill racconta con straordinaria intensità il trauma della perdita del padre e il percorso che lo ha portato fino al titolo mondiale nel 1996. L’intervista realizzata da Donald McRae per The Guardian ci restituisce un ritratto umano, fragile, ma anche combattivo di un uomo che ha saputo trovare la sua strada nell’ombra di un gigante.

“È stato orribile e ancora oggi sento quella tensione”, dice Hill ricordando il momento in cui apprese della morte del padre in un incidente aereo nel novembre 1975. “È stato come sganciare una bomba nucleare, e l’ho fatta esplodere su mia madre. Avevo 15 anni, non avevo le difese per affrontarlo”.

Quel dolore ha lasciato un segno profondo: “Ero arrabbiato col mondo. Ero furioso. Ne avevo avuto abbastanza di crescere come figlio di un famoso pilota. Volevo una vita normale, dove nessuno si interessasse a chi fosse mio padre”.

Damon confessa anche di aver pensato, subito dopo l’incidente, che avrebbe preferito essere su quell’aereo: “Volevo essere con mio padre. Passavo molto tempo con lui nel sedile del copilota, lo adoravo”.

La decisione di entrare in F1 arrivò solo verso i 25 anni: “Fu una reazione giovanile alla perdita. Volevo recuperare qualcosa del passato”. Esordì in F1 a 30 anni come collaudatore per la Williams, e nel 1993 fu promosso titolare accanto ad Alain Prost. Il contratto? “Frank Williams mi fece pagare i voli e gli hotel. Era molto astuto”.

Hill non ha mai avuto un rapporto semplice con Frank: “Non riuscivo a parlarci. Gli altri dicevano che era piacevole, io mi sentivo sempre di troppo”. Eppure vinse il Mondiale nel 1996, poco prima di essere licenziato dalla squadra, che gli preferì Heinz-Harald Frentzen per motivi commerciali. “Frank mi ha poi detto: ‘Avremmo dovuto tenerti’. Tardi, ma apprezzato”.

La sua carriera in F1 si affianca e si scontra con l'ascesa di un altro campionissimo, Michael Schumacher. Sul rapporto con il campione tedesco, è netto: “Non sapeva come reagire quando lo battevo. I nostri valori erano diversi. Non sono mai stato bravo quanto lui, ma lui mi ha tirato fuori il massimo”.

Hill ha anche avuto modo di correre negli anni di Senna, il cui incidente e la cui personalità lo segnarono profondamente. Con Ayrton c'era amicizia ed Hill fu uno dei piloti a sorreggere la sua bara in Brasile: “Poco prima di morire, Senna rassicurò Georgie [la moglie] su di me. Le disse che me la sarei cavata. Al funerale, ho capito cosa rappresentasse: era la speranza di un intero Paese”.

Prima del GP decisivo di Suzuka nel 1996, Hill ricorda una sensazione strana, quasi extracorporea e simile a quella che raccontava Senna dopo la pole di Monaco. “Guidai come mai prima, come se qualcuno avesse tolto il freno a mano. Non era un’esperienza extracorporea, ma mani e piedi erano liberi. Avevo liberato qualcosa dentro di me”.

Hill oggi riflette così: “Sono fiero di avercela fatta. Ho pagato il mio prezzo, ma ho raggiunto la cima. E questo, in qualunque sport, è qualcosa che merita rispetto”.

Fonte: The Guardian - Intervista a Damon Hill di Donald McRae

Foto copertina x.com