Se ci chiedessero di definire un'eccellenza dello sport italiano in questo preciso momento storico, tutti nomineremmo per primo e senza esitare Jannik Sinner. Come potrebbe essere il contrario? Poi, immaginiamo, toccherebbe alle nazionali di pallavolo e ad altre realtà meritevoli della ribalta e degli onori.
Tutto giusto. A pochi, però, verrebbe in mente di citare la parabola agonistica di Antonio Giovinazzi, anni trentadue da compiere il prossimo 14 dicembre, da Martina Franca, provincia di Taranto.
Uno che era approdato per meriti acclarati in Formula Uno e che l'aveva poi dovuta lasciare non certo per demeriti suoi, ma perché alla Sauber interessava molto di più fare cassa che continuare a investire sul talento: dalla Cina era arrivato nel frattempo Guanyu Zhou con una dote da trenta milioni di euro di sponsorizzazioni. O diciamo le cose come stanno, o non ha senso raccontare una storia vera.
In genere, quando un pilota esce dalla Formula Uno, nove volte su dieci è costretto a un ridimensionamento della propria carriera, indipendentemente dal talento. La tenacia e la bravura di Giovinazzi gli hanno invece regalato il mondo, attraverso il titolo iridato WEC, (World Endurance Championship), conquistato con la Ferrari 499p, assieme ad Alessandro Pier Guidi e James Calado. Il primo titolo mondiale piloti della storia ferrarista nei prototipi, per una ragione: negli anni dei titoli Ferrari, ovvero i tredici successi compresi tra il 1953 e il 1972, venivano premiate solo le marche e non anche i conduttori, poi Enzo Ferrari aveva deciso di canalizzare gli sforzi del reparto corse soltanto nella Formula Uno.
Il Cavallino torna in vetta al mondo, dunque, grazie a un pilota italiano che dopo essere stato estromesso dalla massima formula a ruote scoperte per ragioni di budget, ha meritato sul campo, ovvero su pista, di disputare quattro volte la 24 Ore di Le Mans, vincendola nel 2023.
Queste righe abbiamo aspettato un po' a scriverle, per far decantare il giusto tempo le emozioni e la lucidità utile a tributare un riconoscimento. L'Italia spesso non è un Paese per meritevoli e il business delle corse altrettanto spesso le assomiglia: una volta tanto celebriamo il meritato riscatto di uno che non è stato a piangersi addosso e che agli onori delle cronache sportive è riuscito a balzarci dopo essere uscito dalla porta principale. Storia di resilienza e di meritocrazia; di talento che trova una strada parallela da percorrere, intersecando la leggenda. Storia di uno che assieme agli altri componenti del team ha realizzato qualcosa di paragonabile a Wimbledon o alla Coppa Davis nel tennis.
A proposito: Zhou arrivava in Formula Uno nel periodo in cui Liberty Media stava concludendo il ritorno della F1 in Cina. Anche questo va ricordato, oltre al fatto che grazie ad Antonio Giovinazzi la Ferrari è tornata regina laddove la sua storia s'era interrotta.
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