Leggi l'articolo completo su formula1.it

24/09/2013 12:19:00

Rush - La nostra recensione


Speciale di Walter Mesiti

L’occhio frenetico di Niki Lauda in primo piano, sul quale si riflettono minacciose nuvole all’alba di una gara, accompagnato da poesia musicale nel suo incipit è il biglietto da visita con cui gli appassionati (e non solo, ovviamente) di tutto il mondo hanno iniziato a vedere Rush grazie a uno dei suoi trailer. Opera dal titolo breve ma dal contenuto pieno e certamente esaltante (come nella migliore delle tradizioni un monosillabo può essere riassunto perfetto di qualcosa di grande). Ron Howard, dapprima attore (noi italiani abbiamo contribuito all’enorme successo di Happy Days, di cui lui era uno dei protagonisti) e successivamente affermato regista, ha firmato molti successi mondiali del calibro di Apollo 13, A beautiful mind, Il Codice Da Vinci, Angeli e demoni. Incuriosito tempo fa dal mondo della Formula 1, ha poi maturato l’idea di realizzarci su un film. Era necessario però capire come raccontare una storia in quest’ambito, quale epoca riportare ai tempi nostri, quale duello infiammato scegliere.

La Formula 1 antecedente gli Anni ’80 era un mondo speciale, un misto a tratti indescrivibile, infarcito quasi ovunque dello spettro della morte, ancora non sparato così facilmente in mondovisione. Uno show che però non era uno show nel senso più moderno del termine. Le piste erano diverse, le vetture erano mezzi straordinari, figlie di una manualità creativa spiccata e di soluzioni di ingegneria libere da tutti gli assurdi vincoli delle regole moderne, che invece mortificano le attuali vetture fino a renderle quasi elementi di un monomarca… Questo sport era fresco di personaggi come Clark, Stewart, Fittipaldi (solo per citarne alcuni) e l’idea della sicurezza – unico traguardo lodevole raggiunto nell’era moderna – era quasi solo uno scherzo, una cinica e romantica sfida con la morte, con il destino, con l’oscurità.

E’ da questo humus che traggono origine le sfide di cui ha voluto parlarci Ron Howard. Anche se qui, in realtà, la sfida è fondamentalmente una sola: il dualismo tra Niki Lauda e James Hunt, culminato nell’incredibile stagione 1976. A questo punto, come ogni parvenza di recensione ha il dovere di fare, consigliamo a chi non ricorda o meglio ancora non sa la storia di quel campionato di non andare assolutamente a cercarla in giro. Meglio andare “impreparati” e calarsi totalmente per due ore nella magia di quel mondo perduto che il regista e tutti coloro che hanno lavorato al film hanno saputo ricreare da zero. Una volta usciti dal cinema, avrete tutto il tempo di curiosare (e lo farete, statene certi) su quella fantastica edizione del campionato e non solo.

Sì, perché la ricostruzione è abbastanza coinvolgente. Non stiamo a parlare delle vetture o delle piste, dove (soprattutto nelle seconde) esistono delle incongruenze o inesattezze che potrebbero far più che storcere il naso ai più attenti e precisi: parliamo degli attori e delle atmosfere. Le monoposto sono abbastanza fedeli, a parte alcuni dettagli importanti per i puristi. Per le piste ci permettiamo di dire che avremmo preferito un lavoro più certosino, magari cercando di girare le scene di gara più importanti proprio nei tracciati originali, magari con l’aiuto della computer grafica per restituire qualche dettaglio Anni ’70 e rendere il tutto quasi perfetto.

Quello che colpisce moltissimo, come dicevamo, è la recitazione. Chris Hemsworth (lo riconoscerete per il suo ruolo nei film su Thor) interpreta il ribelle, talentuoso e “disordinato” James Hunt, idolo dannatamente pieno di vita, incastro perfetto con il gentil sesso, giocoso marpione che getta senza pietà il suo favoloso istinto nella guida di auto da corsa. L’interpretazione superiore, però, spetta proprio a chi ha avuto l’onore e l’onere di dare il volto a Niki Lauda: Daniel Bruhl. L’attore di origini tedesche e spagnole trascina su di sé l’attenzione con una facilità spaventosa: perfetto nell’esprimere la personalità di Lauda e con una somiglianza fisica da far saltare sulla sedia, incarna il campione austriaco senza sbavatura alcuna. Meticoloso, preparatissimo, consistente, consapevole del proprio enorme talento e con una maschera di antipatia creata inconsapevolmente (solo in parte) dalle dimensioni della sua bravura, Niki emerge nella sua essenza. Così come emerge il dramma di quell’incidente al Nurburgring. Quello vecchio, però: il tracciato che fu ribattezzato “l’inferno verde”, che aveva poco meno di duecento curve e una lunghezza di ben oltre venti chilometri, che uscì di scena dal mondiale proprio per via del terribile incidente subito da Lauda.

Vengono fuori anche delle imprecisioni o mancanze su alcuni personaggi “secondari” (nel film ma non nella storia): su tutti Clay Regazzoni e Arturo Merzario. Lo svizzero viene interpretato da Pierfrancesco Favino, che nonostante la sua bravura non riesce a rendere piena giustizia al personaggio; la colpa, se proprio vogliamo trovare un responsabile, è dell’impossibilità di sviluppare o definire la storia del pilota Ferrari visto che si sarebbe andati fuori tema. Per quanto riguarda Merzario, da più parti si è reclamato a gran voce (giustamente) il suo ruolo fondamentale nel salvataggio di Niki nel rogo del Nurburgring. Imperfezioni più o meno perdonabili di fronte a un film di questa portata. Il suono dei motori, in sala, vi farà vibrare e rabbrividire, così come le musiche di un sempre straordinario Hans Zimmer, che da anni firma decine di colonne sonore (citiamo giusto Il re leone, Il Gladiatore, la trilogia del Cavaliere Oscuro, L’uomo d’acciaio e proprio Il Codice Da Vinci) che accompagnano pellicole indimenticabili e le completano con una poesia musicale potente e unica. A noi il film è piaciuto molto, catapultandoci nuovamente nelle atmosfere splendide di quel periodo, probabilmente l’ultimo pregno di vero eroismo, di valori che sembrano ormai perduti, condito da quell’impasto di coraggio e paura scagliato in mezzo al rombo dei motori, tra una striscia oscura di asfalto e l’infinità del cielo. Lì dove si sono scritte pagine eterne di storia dell’automobilismo, fatte di uomini, di sofferenza, di trionfi…