Sebastian Vettel come Alain Prost. Sembra incredibile, quasi sconvolgente come confronto ma è la legge dei numeri del vincitore. La storia guarda se stessa e si diverte a ripetere un bel destino, a regalare (si fa per dire, i titoli si sudano) la dolcezza dell’ennesima vittoria, che a tutti è parsa scontata ma a Vettel di sicuro no. Ventisei anni, quattro titoli iridati consecutivi, una potenza inarrivabile in pista, un binomio troppo perfetto con la sua Red Bull, talmente forte da non avere neanche mai guasti (a differenza della vettura gemella). La sesta vittoria consecutiva, la decima dell’anno, non poteva essere sigillo migliore e meglio adeguato per marchiare a fuoco ancora una volta l’edizione del campionato del mondo di Formula Uno.
Eppure la partenza aveva fatto intendere che l’appuntamento con l’iride, stavolta, poteva anche rimandarsi: attaccato dai piloti delle prime file, Vettel si è dovuto fermare praticamente subito (secondo giro) ai box per cambiare le proprie gomme soft con quelle a mescola più dura, le medium. Un passaggio obbligato che lo ha scagliato nelle retrovie, il punto forse più oscuro tra le sue sfide. Invece, come avvenuto a San Paolo nel finale della scorsa stagione, il tedesco d’acciaio ha saputo disfarsi in poco tempo di tutte le macchine poste davanti a sé. Anche un secondo posto, arrivati a quel punto, sarebbe stato impresa non da poco. Complice il ritiro di Webber, unico vero “guastafeste” per la vittoria, Sebastian si è solo ripreso quello che con la sua guida di oggi gli è appartenuto ancora una volta di diritto: la leadership.
Nessuno ha potuto nulla contro Vettel, come al solito. La Ferrari ha perso subito le speranze, nonostante un balzo in testa di un gran Felipe Massa, che si è disfatto in un sol colpo di entrambe le Mercedes ma si è poi dovuto arrendere alle logiche delle strategie. Fernando Alonso, un po’ come in Malesia, ha trovato una Red Bull (stavolta Webber) a strappargli via un pezzo di ala anteriore (praticamente causa principale di cambio muso da anni) e imporgli una sosta kamikaze ai box, motivo di una rimonta davvero difficile. Sì perché la F138 ormai è un progetto chiuso, senza sviluppi (e anche quando c’erano non è che funzionassero granchè), che va a morire insieme a questo campionato. Lottare tenacemente con Toro Rosso e Sauber invece che con i rivali da prima fila dev’essere la peggior frustrazione per Fernando, nervoso ai box sin dal sabato quanto, forse, arreso di fronte alla superiorità dei riconfermati campioni. Lo status della Ferrari, da diverse gare, si riassume in quei camera car in cui si vede spesso schizzare via in trazione chi è poco più avanti…
Adesso non resterà che a Fernando, Kimi e all’avvento ritrovato del turbo cercare di riscrivere pagine di storia attualmente tinte del blu Red Bull. Il mondiale si chiude così anche con il trionfo della squadra nel campionato Costruttori, vinto anche questo per la quarta volta di fila. Un successo epico, clamoroso, sempre più simile ai successi in serie della Ferrari degli anni d’oro, oggi suggellato dallo show imbastito da Sebastian Vettel al termine del giro d’onore: i donuts (le “ciambelle”) fatti con la Rb9 in pieno rettifilo di fronte al pubblico indiano impazzito, la monoposto fermata di traverso sulla griglia, l’inchino al cospetto di questa vettura straordinaria e il sapore della vittoria sparato in mondovisione alla faccia di tutte le regole inutilmente composte di un parco chiuso. Lo spettacolo, caro Sebastian, hai saputo darcelo alla grande. Poco importa se hai reso noiose così tante gare da un po’ di tempo a questa parte. L’ingresso nel prestigioso club dei più grandi di sempre è ora tuo. Meritatamente.