Un campione tanto amato quanto discusso. Un uomo, prima ancora che un pilota, capace di unire le masse e dividerle al tempo stesso. Amato e odiato, osannato e criticato allo sfinimento. Ma soprattutto, una persona dall'umanità gigantesca, che mai ha fatto mistero delle proprie fragilità. E quest'ultimo punto, per chi scrive, vuol dire avere due attributi grandi così. In un ambiente, e in una società, dove invece la ricerca della perfezione è tutto.
Comincia così il nostro percorso al fianco di Sebastian Vettel, pilota dal talento cristallino e persona dalla straordinaria carica umana. Uno degli ultimi eroi romantici di questa Formula 1 il cui lato umano è tristemente destinato all'estinzione. O perlomeno, all'omologazione a tutti i costi.
Nel momento del suo addio al Circus iridato cerchiamo di ripercorrere la carriera dell'uomo Sebastian, lasciando al Vettel pilota il compito di farci da Cicerone nel racconto della sua personalissima avventura fuori e dentro i circuiti del Mondiale.
Sebastian Vettel muove i primi passi in Formula 1 nel 2006 quando, da collaudatore Sauber, stacca il miglior tempo nelle libere due in Turchia. L'anno successivo sostituisce l'infortunato Kubica in Canada, giungendo ottavo all'esordio in un GP iridato. Nel 2007, sotto il diluvio del Fuji, è in lotta con Webber per il podio, ma è costretto al ritiro a causa di un incidente col futuro team mate.
Vettel torna in lacrime ai box, ignaro che l'appuntamento col destino è solo rimandato alla stagione successiva. E il destino, quando vuole, sa metterci del suo. Il 2008 in Toro Rosso inizia in sordina, con acuti a Monaco, Canada, Spagna e Belgio. La consacrazione arriverà a Monza, in Italia, davanti al pubblico che ancora osanna Schumacher. Il campione di Kerpen è stato il primo ad aver creduto in un giovanissimo Vettel.
Una vittoria magistrale, un capolavoro di tattica e velocità lo consacra davanti al pubblico Italiano al volante di una monoposto italiana, e sotto un diluvio torrenziale. Qui dobbiamo dire grazie al destino: Vettel tornerà in Italia da eroe, dopo essere stato odiato per quel ditino volto al cielo negli anni delle vittorie a raffica in Red Bull.
Il 2009 è l'anno dell'approdo nella scuderia austriaca, con la quale otterrà le maggiori soddisfazioni sportive: quattro titoli di fila, dal 2010 al 2013, complice anche una vettura capace di performance stratosferiche.
È negli anni Red Bull che inizia a delinearsi la figura di Sebastian, mentre la caratura di Vettel cresce a ogni GP, a ogni vittoria, campionato dopo campionato. Un pilota dalle eccezionali doti velocistiche, supportato da un team e da una macchina che sembrano entrambi cuciti sulle sue misure.
Questo è Vettel pilota: uno che una volta ottenuta un'auto dal posteriore granitico è in grado di girare più forte di tutti. I più acerrimi detrattori insisteranno sugli scarichi soffiati Red Bull, e sulla loro abolizione a cui ha fatto seguito un crollo di performances del pilota. Vero. Ma con quella macchina ha dimostrato doti velocistiche fuori dal comune.
Contemporaneamente, dicevamo, risulta sempre più evidente il Sebastian uomo, uno che ha bisogno di essere coccolato e amato da tutti, per dare il meglio di sé. Newey e soci lo sanno bene: oltre all'auto, il team lo circonda di specialisti a cui Vettel si affida. Co-protagonisti a tutti gli effetti dei suoi successi iridati.
Un sistema perfetto ma fragile al tempo stesso: Vettel non deve assolutamente perdere fiducia in sé, tantomeno nel suo team. A tal proposito le prime avvisaglie, per chi scrive, si sono manifestate nel momento in cui Webber nel 2012 ha iniziato far vedere a tratti performances superiori alle sue. Abbiamo assistito a un Vettel per la prima volta nervoso, e capace di imprecisioni in cui era possibile iniziare a scorgere l'uomo Sebastian fare capolino. Il testacoda di Interlagos fu probabilmente il primo, possente vagito di Seb, che comunque non impedì a Vettel di centrare il terzo titolo iridato.
Il 2013 è l'anno del multi-21, e di una Red Bull per la prima volta non così dominante come lo era stata nelle stagioni precedenti. Perlomeno fino a circa metà campionato, con Vettel poi capace di ritrovare competitività e portare a casa 9 vittorie consecutive, e con esse il quarto titolo.
Quel mancato rispetto degli ordini di scuderia rende il pilota decisamente antipatico al pubblico di fede Ferrarista: lo scotto da pagare quando sei un fuoriclasse iper vittorioso, su un'altra vettura, e quando ti produci in esultanze poco compatibili con una cultura latina davanti alle telecamere di tutto il mondo. Esultanze poi magistralmente traslate in salsa tricolore negli anni in Ferrari, ma a quelle ci arriveremo tra poco.
Gli anni in Red Bull si susseguono ruggenti, e non c'è tempo per pensare: si deve vincere, e vincere ancora. Il bello e il brutto di una squadra altamente competitiva ma altrettanto spietata. Una squadra che, forse fiutate le prime fragilità di Sebastian, non ci ha pensato su due volte nell'affiancargli un giovane e velocissimo Daniel Ricciardo. Un osso duro e in grado di mettergli una grande pressione addosso.
L'arrivo dell'italo-australiano nel 2014 provoca un cambio di paradigma in Red Bull, probabilmente tutt'altro che inatteso ai piani alti del team. Il giovane Ricciardo dà del filo da torcere a Vettel, che forse inizia a perdere fiducia in sé stesso, e quindi prestazioni. Complice anche l'avvento dell'era turbo-ibrida il Circus rimescola le carte in tavola, aprendo la strada al dominio Mercedes. Vettel non è più così irresistibile, e la squadra che fino all'anno prima lo osannava, ora lo lascia solo a leccarsi le ferite. Fino all'inevitabile separazione.
Vettel lascia la Red Bull e Sebastian arriva in Ferrari: possiamo così descrivere la carriera del nativo di Heppenheim dal 2015 fino a tutto il 2020. Sei stagioni indimenticabili, fatte di alti e bassi, amore, odio, poi ancora amore nel momento in cui Sebastian sveste i panni di Vettel e indossa quelli di Adriano Celentano, ad Abu Dhabi 2020:
Vettel takes the mic after his swansong for @ScuderiaFerrari 🎤#AbuDhabiGP 🇦🇪 #F1 pic.twitter.com/z5vFJ5bK9v
— Formula 1 (@F1) December 13, 2020
Uno stonatissimo interprete di Azzurro ci lascia col cuore in mano, nella sua sgangherata quanto appassionata interpretazione della canzone italiana per definizione, con tanto di rivisitazione di testo e metrica.
Abbiamo voluto sintetizzare le sue sei stagioni da pilota del Cavallino in poche righe, non a caso. Sarebbe da prodursi in un'enciclopedia di ricordi, gioie, incazzature che avrebbero mandato fuori scala anche il contagiri di Confucio, salti sul divano e trasferte improponibili pur di seguire la Rossa che dopo il trionfo di Kimi sembrava destinata a un nuovo ciclo di vittorie. I guizzi di Vettel ci lasciavano sognare uno scenario del genere.
Il quattro volte iridato aveva raccolto il sedile bollente di Alonso, accettando un ruolo pesantissimo. Nando riuscì quasi a soffiargli il mondiale nel 2010 con un'auto decisamente inferiore alla Red Bull. Il Vettel pilota sapeva benissimo a cosa andava incontro, firmando per il Cavallino: il ragazzino Sebastian era solito spiare Schumacher nei test di Fiorano, il ragazzo Sebastian era stato segnalato dal Kaiser stesso come suo successore. Un endorsement che gli valse il sedile in Sauber come collaudatore.
Un'eredità pesantissima, perlopiù al cospetto dei tifosi di Formula 1 più appassionanti in assoluto. L'Italia è l'unico posto al mondo dove una nazione intera si stringe attorno a una scuderia, anzi, alla Scuderia, mentre in tutti gli altri Paesi perlopiù si tifa un pilota. L'Italia è quel posto dove se vinci sei una divinità, ma se fallisci vieni massacrato.
Sebastian lo sapeva, al suo arrivo a Maranello. Sapeva anche di non sentirsi più il fulmine di una volta, e che la sua tenuta emotiva era prossima a scemare. Eppure, da perfetto eroe romantico, in quei giorni guardava dritto in faccia il suo destino, con il rosso Ferrari e il giallo di Modena negli occhi, a renderlo Comfortably Numb, per usare un termine preso in prestito dai Pink Floyd.
Conscio della pressione a cui sarebbe andato incontro, consapevole del fatto che forse non sarebbe riuscito a reggerla, ma allo stesso tempo anestetizzato (dolcemente insensibile) da un amore puro, vero e incondizionato per il Cavallino. Negli anni abbiamo scoperto un Seb follemente innamorato anche dell'italia, del suo idioma e dei suoi tantissimi tifosi.
Come sono andate le cose in quegli anni è sotto gli occhi di tutti, non serve prodursi in una ridondante corsa al dato statistico. Come ci ha fatto battere il cuore, è altrettanto noto. Per le sue imprese in pista, e per i suoi sbagli. Un andamento da elettroencefalogramma di un sedicenne alle prese col primo VHS di Moana Pozzi scoperto per caso in cantina.
Amore, odio, amore, e così via. Impossibile non rimanerne fulminati. Impossibile dimenticare Malesia 2015, sua prima vittoria in rosso nell'era dello strapotere Mercedes, così come è impossibile cancellare i ricordi del 2018, l'anno dei testacoda a ripetizione, l'anno della SF71H che avrebbe potuto consacrarlo iridto in Ferrari.
Il sogno erotico di qualsiasi pilota da corsa, la summa delle 7 meraviglie del mondo per un'appassionato di storia, un concerto privato dei Dream Theater a casa tua, e con te come spettatore unico. O magari di Lucio Dalla, che canterebbe così:
" E, come uomo, io ci ho messo degli anni
A capire che la colpa era anche mia
A capire che ero stato un poco anch'io
E ho capito che era tutto finto
Ho capito che un vincitore vale quanto un vinto
Ho capito che la gente amava me
Il mio nome è Ayrton, e faccio il pilota
E corro veloce per la mia strada
Anche se non è più la stessa strada
Anche se non è più la stessa cosa
Anche se qui non ci sono i piloti
Anche se qui non ci sono bandiere
Anche se forse non è servito a niente
Tanto il circo cambierà città"
In quella stagione la Ferrari SF71H si è dimostrata miracolosamente competitiva, spesso vincente. Sarebbe bastato, forse, tenere i nervi saldi e portare a casa il GP di Germania per poi proseguire sulle uova nel resto della stagione.
Ma contro un cannibale come Hamilton è difficile. Contro una Mercedes di quel calibro è molto difficile. Se a tutto questo aggiungiamo la lotta interiore tra il pilota Vettel e l'uomo Sebastian, allora possiamo chiuderla qui. Ha perso il pilota, ma a guardare le cose dopo qualche anno possiamo asserire che ha vinto l'uomo.
L'uomo, per definizione, è imperfetto. Ma Sebastian è anche un gran pilota: il campione imperfetto. Un esempio da seguire, in cui identificarsi. Siamo tutti lontanissimi dalla perfezione: chi è capace di guardarsi allo specchio e accogliere serenamente i propri limiti, ha già vinto.
Lui, poi, a far capolino da dietro lo specchio ha trovato anche un certo Charles Leclerc; superfluo aggiungere altro. Siamo nel 2019, e Vettel è ormai l'ombra del campione che vinceva tutto in Red Bull. In Canada assistiamo a un rigurgito d'orgoglio, forse l'ultimo di un Vettel oppresso anche da un trattamento non all'altezza della sua caratura, da parte di chi gestisce lo sport in cui milita, e che tanto ama.
Celebre la sua immagine mentre inverte il segnaposto del vincitore (lui, diciamo le cose come stanno) con quello del secondo. Non solo una vittoria scippata, ma forse il colpo di grazia per quel po' di lucidità e tenuta mentale residue, e su cui poteva ancora far fede.
Arriviamo al 2020, Sebastian ha ormai accolto l'idea di rinunciare al sogno iridato in rosso. In ballo poi c'è qualcosa di molto più importante: il rapporto con sé stesso. Ed è questo che lo rende grande. In un mondo che ci vuole perfetti sempre e comunque c'è chi, come lui, ha avuto il coraggio di porsi una domanda: ma chi l'ha detto che bisogna essere per forza perfetti?
La sua risposta è nel paragrafo di chiusura. Riportiamo per onor di cronaca gli anni post Ferrari, in cui Vettel pilota ha raccolto ben poco dalla pista, complice anche le scarse prestazioni delle Aston Martin che ha avuto a disposizione. Il 2021 e 2022 sono state stagioni in cui Seb ha potuto guidare una monoposto col braccio fuori dal finestrino, o per meglio dire, dall'Halo.
Ormai rassegnato a un mesto tramonto, Sebastian trova modo di concentrarsi sempre più su argomenti a lui cari: cause umanitarie e sensibilizzazione sul tema ambientale in primis. Gli anni in Aston Martin ci hanno regalato l'amico Sebastian, quello che esce di casa spettinato e con la barba incolta, quello che preferisce confondersi tra la folla anziché essere riconosciuto, e osannato.
Un condensato di quel Vettel che nel 2018 ci fece saltare sulla tribuna 23B di Monza, dopo l'ennesimo testacoda. Perdonate il tono in prima persona: non ce la faccio, troppi ricordi (cit). Davanti al suo pubblico, e con un Kimi ormai defenestrato pronto a rubargli la pole al sabato.
Una doppietta rossa in qualifica: primo infarto. L'attesa per il via della gara, l'asfalto che trema, i semafori che si spengono. Panico puro. Dall'uscita della parabolica è impossibile vedere cosa succede alla Variante della Roggia. Ci ha pensato il maxischermo, a mostrarci beffardo Vettel perdere il controllo per terminare lì la sua gara. Rabbia, tristezza, ma a distanza di tempo anche tanta ammirazione: Sebastian stava prendendo il sopravvento.
Vettel: un pilota tanto popolare in pista quanto riservato nella sfera privata, che Sebastian ha sempre posto in primo piano. Un uomo in grado di tenersi alla larga dai social media negli anni in cui il valore di un personaggio pubblico si misura in followers. Un papà e un marito premuroso che ha sempre tenuto la sua famiglia lontano dalla scintillante macchina mediatica che genera dal Circus. E che lo alimenta avido di storie, anche personali, che possano contribuire alla causa altissima, quella dell'audience.
Chiunque ruoti intorno ai piloti più veloci del mondo deve considerarsi pronto al sacrificio, soprattutto gli affetti e le persone più prossime ai nostri eroi. Una macchina da soldi che rende possibile lo show. Senza scrupoli, per un punto di share in più. I più attenti tendono a proteggere i propri cari dal sistema, l'esempio di Corinna valga per tutti. L'esempio di Sebastian muove dagli stessi principi. Due campioni di empatia, la dote che differenzia Donne e Uomini veri da tutti gli altri.
E così Vettel pilota apre un profilo Instagram per annunciare il suo ritiro, e lo fa con un filmato in cui lascia spazio all'uomo Sebastian, capace di un toccante messaggio in cui dà libero sfogo alle sue emozioni. E con un efficace bianco e nero a sottolineare delicato il carattere genuino delle sue parole.
Di seguito un estratto del suo annuncio, da noi sintetizzato e volutamente riadattato nel tentativo di distillare l'essenza dell'uomo Sebastian: “Sono qui per annunciare il mio ritiro dalla Formula Uno. Dovrei forse iniziare col ringraziare tante persone, ma credo sia più importante spiegare i motivi del mio addio. Adoro questo sport, è da sempre un punto centrale nella mia vita. Ma la mia vita è anche fuori. Non mi sono mai identificato soltanto nella figura del pilota: la nostra identità coincide con chi siamo ed è legata a come trattiamo gli altri, piuttosto che da ciò che facciamo."
"Chi sono io? Sono Sebastian, padre di tre figli e marito di una donna meravigliosa. Sono curioso e sono affascinato dalle persone appassionate e ricche di talento. Sono ossessionato dalla perfezione."
Interrompiamo per un momento Sebastian, ricordiamoci di questa parola: perfezione.
"Essere un pilota di Formula 1 vuol dire passare molto tempo lontano dalla mia famiglia, e assorbe tante energie. I miei obiettivi adesso si sono spostati dal vincere gare e campionati al veder crescere i miei figli, trasmettere loro i miei valori, aiutarli a rialzarsi quando inciampano. Non voglio più doverli salutare, voglio poter prendere ispirazione da loro. Ho ancora tanto da imparare, su di me e sulla vita."
"La mia gara migliore deve ancora arrivare. Voglio guardare avanti e cogliere nuove sfide: il domani appartiene a chi dà forma all'oggi. Ho lasciato segni sulla pista che rimarranno finché la pioggia o il tempo non li cancelleranno. Addio e grazie per avermi permesso di condividere la pista con voi. Ho amato ogni singola cosa"
Nessuno cancellerà i segni che Vettel pilota ha lasciato sulle piste di tutto il mondo. Nessuno cancellerà i suoi quattro mondiali, le 299 partenze, le 53 vittorie, le 57 pole position, il Trofeo Lorenzo Bandini conquistato per i suoi risultati nella stagione d'esordio da titolare in Formula 1. Addio Vettel, pilota dal talento cristallino. E grazie per aver condiviso la pista con noi.
Nessuno ti dimenticherà Seb, campione d'umanità ossessionato dalla perfezione, e tradito dalla tua stessa musa nel momento in cui le cose hanno iniziato a girare nel verso sbagliato. Ed è qui che abbiamo ricevuto il regalo più grande da parte tua: man mano che Vettel il pilota veniva meno, usciva allo scoperto l'uomo Sebastian con sempre maggior definizione. In tutta la sua fragilità. In tutta la sua integrità. Nella sua immensa umanità.
Ciao Seb, ci mancherai.
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Foto api.ferrari.com