Ogni uomo sconta sulla terra la sua parte d'inferno.
Non è detto che debba esserci per forza del fuoco, sullo sfondo, e nessuno ha in fondo mai stabilito che colore debba avere il luogo della sofferenza, anche se la maggior parte di noi lo assocerebbe al rosso: quello delle passioni estreme, della combustione perenne, delle lingue di fiamma che nessuno sembra in grado di placare.
Così come nessuno assocerebbe mai all'inferno il colore verde; nessuno, tranne i piloti d'automobile degli anni settanta, perché loro hanno conosciuto un inferno, lungo e tortuoso, che si nasconde e si aggroviglia lungo un bosco, con un castello al centro, come nelle fiabe, con la strega che può sbucarti davanti all'uscita da ogni curva. Lo chiamano proprio così: "L'Inferno verde", perché come un pitone lunghissimo ti avvolge nelle spire dei suoi tornanti e appena può ti strangola la macchina. C'è anche il rosso, nella storia che stiamo per raccontarvi, ed è quello della Ferrari 312 T2, col numero uno stampigliato sul musetto, quando si materializza all'ingresso della curva Bergwerk. Poi il fuoco arriva sul serio, come sempre senza bussare, all'improvviso.
Il Nürburgring, il più bello, insolitamente lungo, affascinante circuito del mondo, costruito affinché anche in terra tedesca vi fosse un adeguato circuito per le corse e le prove della sempre più sviluppata industria automobilistica.
La definizione "Inferno verde" appartiene al grande Jackie Stewart, uno che di rischi e della loro gestione se ne intendeva.
C'è stato un tempo in cui Apollo e Dioniso abbassavano la visiera del casco, facevano aderire perfettamente i guanti alle dita, allacciavano le cinture.
È la storia del Campionato mondiale di Formula Uno del 1976, più bella e intensa di qualsiasi pellicola cinematografica. La razionalità senza fronzoli, la pulizia classicheggiante delle traiettorie nitide, la macchina omaggiata come un tempio: detentore del titolo, Niki Lauda è un Apollo dai denti aguzzi e gli occhi come due spilli, puntati con lungimiranza verso tutto ciò che c'è da tenere sotto controllo dal semaforo verde in poi. Bello come un dio pagano, refrattario alle regole che chiunque tenta di imporgli, ebbro della propria aggressività in pista prima ancora che dei suoi drink è James Hunt, il più ribelle dei londinesi, che i dissesti finanziari di Lord Hesketh avevano momentaneamente estromesso dal Circus e che invece si ritrova sulla schiena il motore Ford Cosworth della McLaren, abbandonata da Emerson Fittipaldi come una sposa sull'altare, visto che il due volte iridato brasiliano aveva lasciato con poco preavviso la scuderia per sistemarsi al volante della Copersucar, team che prendeva il nome dalla più importante azienda del suo paese nel campo della raffinazione dello zucchero di canna.
Lauda può contare sulla resa della Ferrari 312 T2, evoluzione della T che aveva ricollocato il Cavallino sul tetto del mondo. Sparita per ragioni regolamentari la grande presa d'aria simile a un periscopio che sovrastava l'abitacolo, la nuova intuizione di Forghieri consiste in due avveniristiche aperture per i flussi d'aria collocate davanti agli specchietti.
Si comincia il 25 gennaio in Brasile, a Interlagos, dove Lauda taglia per primo il traguardo. L'austriaco si ripete il 6 marzo, nella seconda prova del mondiale, a Kialami in Sudafrica. È indicativo che in entrambe le occasioni a partire in pole position sia la McLaren di Hunt. Diversamente giovani, diversamente veloci, l'uno si rispecchia nelle doti dell'altro che a lui mancano, dentro e fuori dall'abitacolo.
Il 28 marzo, sull'insidioso tracciato cittadino di Long Beach, in California, Lauda termina secondo dietro l'altra Ferrari, quella di un imprendibile Clay Regazzoni. Gestione dei piazzamenti, punti in cascina.
Hunt vince a Jarama, in Spagna, all'inizio di maggio; il resto del mese è appannaggio di Lauda, che sale il gradino più alto del podio il 16 a Zolder, in Belgio, dopo un dominio assoluto dell'intero fine settimana - pole position, giro più veloce in gara, vittoria - per poi ripetersi a Montecarlo, il 30. Il 13 di giugno ad Anderstop, in Svezia, si registra la storica vittoria di Jody Scheckter con la mitica Tyrrel "sei ruote", quindi il 4 luglio tocca ad Hunt passare per primo sotto la bandiera a scacchi di Le Castellet, in Francia, mentre Lauda è fuori al nono giro, tradito dal motore. Si rifarà il 18 luglio a Brands Hatch, dove avrebbe vinto Hunt, che verrà però in seguito squalificato per aver cambiato vettura in occasione della seconda partenza, dopo la collisione al primo avvio. Una straordinaria concentrazione di campioni, con Lauda che domina incontrastato la classifica con 61 punti, in virtù delle sue vittorie e di una serie di piazzamenti strategici.
Così, il primo giorno di agosto del 1976, si arriva al Gran Premio di Germania, decima prova del campionato. Il Nürburgring, in tutta la sua tortuosa estensione.
Hunt in pole position, Lauda secondo in griglia. A causa del tempo guastatosi poco prima del via, partono tutti con gomme da pioggia, fatta eccezione per la McLaren del tedesco Jochen Mass, che scommette sulle "slick" e su un rapido miglioramento delle condizioni atmosferiche.
Al termine della prima tornata, dopo una caotica partenza, in effetti in molti rientrano per sostituire le gomme da bagnato con quelle da asciutto. Non il capofila Ronnie Peterson, non Regazzoni che lo tallona dopo un testacoda.
La curva "Bergwerk" non è una di quelle particolarmente difficili al "Ring"; è solamente, in assoluto, la più distante dal rettilineo dei box.
È in corso il secondo giro quando la 312 T2 di Lauda, partito male e ritrovatosi ottavo, comincia a percorrerla. È l'istante precedente a quello destinato a fare da spartiacque nella storia della Formula Uno. Si vede la monoposto scuotersi, come se perdessero aderenza le gomme posteriori, con il musetto che se ne va verso sinistra; si vede poi Lauda che, d'istinto, corregge verso destra; è a quel punto che la Ferrari si proietta, ormai ingovernabile, verso le barriere poste alla base della parete rocciosa. L'urto è violento, non appena tocca le barriere la Ferrari comincia a disintegrarsi, per poi compiere due completi giri su se stessa che la riportano al centro della pista, Nel mentre, il suo ventre carico di carburante le soffia lungo i fianchi un alito di fuoco: incontrollabile, avvolgente, denso di vapori e veleni. Lauda è come un naufrago che vi annega dentro.
È a questo punto che nella storia fanno il loro ingresso altri protagonisti: per primo il britannico Guy Edwards, al volante della Hesketh, che riesce a evitare quella torcia di lamiere. Poi è la volta di Harald Hertl, barbuto connazionale di Lauda, anch'egli su Hesketh; seguito dall'americano Brett Lunger, astro nascente ed eroe della guerra in Vietnam, dove ha trascorso tredici mesi combattendo contro i Vietcong, a bordo di una Surtees con motore Ford. Entrambe queste vetture centrano in pieno la carcassa della Ferrari; l'urto è così violento che fa volare via il casco di Lauda. Un minuto abbondante tra le fiamme, con il volto non più protetto, tra fumi venefici che sono più dannosi delle fiamme stesse.
Ora transita un pilota che per tutto la vita che gli resterà da vivere verrà associato a questi convulsi istanti: è Arturo Merzario, al volante della Wolf Williams. È il cowboy della Formula Uno, anche per i copricapi che è solito indossare; è un personaggio davvero unico, forse irripetibile; un anticonformista integrale, non accomunabile nemmeno all'immagine da ribelle di uno come Hunt, che in qualche modo è più convenzionale. È inoltre un ex ferrarista, Merzario, uno che non deve amare particolarmente Lauda, visto che Enzo Ferrari aveva deciso di sostituirlo proprio con lui prima dell'inizio del mondiale del 1974. Perché decide di fermarsi, per soccorrere Lauda? Quante volte a un pilota capita di cogliere, passando, il particolare di un incidente, più o meno grave, capitato a un avversario?
Negli anni a seguire, Merzario non sarà mai in grado di rispondere in maniera esaustiva a questa domanda; fatto sta che si ferma, sceglie di fermarsi, dandosi da fare per sottrarre alle fiamme il Campione del mondo. Lauda, che allaccia sempre in modo serrato le cinture, è in preda a un panico indotto dalla carenza di ossigeno e dal dolore delle ustioni che si stanno disegnando sul suo volto. Protetto dal getto degli estintori degli altri tre precedentemente citati, Merzario si adopera per liberarlo; riesce a sganciare le cinture soltanto nel momento in cui il viennese perde i sensi, tra esalazioni di magnesio. Lo trascina quindi sul prato dove, in attesa delle ambulanze, riesce a praticargli un massaggio cardiaco, grazie alle nozioni di un corso di primo soccorso sostenuto nel 1965, durante il servizio militare.
Con il volto per metà sciolto dalle fiamme, Lauda recupera barlumi di coscienza e trova la lucidità per rivolgere a Merzario una domanda:
- Arturo, com'è ora la mia faccia? -
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