Se è vero, come è vero, che Oscar Wilde cercava sempre il modo di rimediare un garofano verde da sistemare in uno degli occhielli della giacca, a noi quel verde fa tornare in mente la giacca di un pilota, dello stesso colore, abbinata a una camicia bianca con il farfallino; lui si calava così nell'abitacolo, come se invece di lanciarsi a duecentocinquanta e più chilometri orari dovesse semplicemente posare per una foto con le mani sul volante, a motore spento.
Mike Hawthorn, non certo uno di passaggio; uno, però, per il quale la vita è passata troppo in fretta; uno tra quelli che al Vecchio sono piaciuti più di tutti gli altri. Perché? Per la faccia da eterno bambino montata sul corpo adulto di un gentiluomo inglese? Perché Ferrari preferiva gli stranieri? No, perché Hawthorn possedeva un qualcosa che a Ferrari pilota era sempre mancato: la capacità di sfidare il limite. Di individuarlo e di andare poi oltre. Il modo di correre, il solo che davvero avesse senso, per Hawthorn, era questo. Sfidare se stessi attraverso il confronto con gli altri piloti.
Sul giro secco, o sulla prestazione pura, questo il Vecchio lo diceva sottovoce ai suoi più intimi confidenti, Hawthorn riusciva a duellare con Fangio. A essere ai livelli del più grande dell'epoca e uno dei più grandi di sempre. A compiere le stesse manovre che riuscivano al campione argentino, come tenere completamente giù l’acceleratore nella curva di Gueux, a Reims.
Per il Cavallino, offre il suo virtuoso contributo alla conquista dei titoli Sport negli anni ’53, ’54, ’57 e ’58. Vince la "24 Ore" di Spa-Francorchamps con Farina nel ’53, mentre nel 1954 conquista il "Tourist Trophy" a Dundrod. Soprattutto, Mike Hawthorn è il primo pilota britannico a conquistare il titolo mondiale, nel 1958 con la Ferrari 246 F1, ultima volta di una monoposto con motore anteriore, che a Monza aveva presentato la soluzione, fino a quel momento inedita, dei freni a disco.
Aveva già deciso che l'hanno seguente si sarebbe ritirato, anche se il destino sa forzare la mano persino alle determinazioni già prese.
Quel 1958 non era stato solamente l'anno del titolo mondiale, ma anche quello in cui persero la vita due suoi compagni di corse, così li avrebbe definiti lui: Musso e l'amico fraterno Collins. Questo lo aveva fiaccato nello spirito, allo stesso modo con il quale una patologia ai reni aveva da tempo cominciato a intaccarlo nel corpo. Un rene lo aveva già perso, con l'altro stava convivendo dolorosamente.
A soli trent'anni, con la prospettiva di godersi i guadagni di anni di corse e di vittorie, Mike Hawthorn muore al volante, ma in un incidente stradale, come i comuni mortali. A Guildford, il 22 gennaio del 1959, dopo aver perso il controllo della sua Jaguar. Qualcuno dirà che aveva perso il controllo per via di un malore dovuto allo stato degenerativo della sua malattia. Può darsi. Di certo c'è che il destino tende invisibili cavetti d'acciaio ai lati di qualsiasi strada, strappando l'appariscente giacca verde persino al più impeccabile dei lord.
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