Una carriera ultra ventennale in F1, prima in alcuni team britannici, poi come ingegnere di pista di Felipe Massa in Ferrari e infine a capo degli ingegneri in Williams. Parliamo di Rob Smedley, 50 anni, inglese che, dopo la fine della sua avventura nel Circus, ha fondato la 'Smedley Group', azienda di engineering, e deciso di dedicarsi alla famiglia e al mondo del karting. Figura dal passato ricco di aneddoti e dal presente da raccontare, con cui chi scrive ha parlato in esclusiva per "Formula1.it".
Salve Rob, iniziamo dalla fine: è uscito dalla F1 da alcuni anni. Di cosa si occupa oggi?
"La F1 è la passione della mia vita, ma nel 2018 ho deciso di prendere una pausa. Sono stato in F1 per oltre 20 anni, sempre in viaggio, la famiglia si è sacrificata, ho perso matrimoni, compleanni. Volevo fare qualcosa di nuovo e dal 2020 ho avviato la mia azienda di engineering. Ho preso ragazzi con cui avevo già lavorato e siamo partiti: usiamo le competenze apprese in F1 per progetti nel motorsport e non. Volevo restare legato al motorsport, e dunque mi occupo di kart".
Dal "pinnacolo" del motorsport alla base...
"È un mondo davvero costoso. Devi avere talento e molti soldi. Ho cambiato il sistema in modo che un pilota di talento non debba avere necessariamente i soldi. Abbiamo costruito un kart da corsa elettrico e tutto il contorno: tutto a basso costo. Abbiamo un software dove inserire i dati dai kart, in tempo reale, per svolgere analisi, coaching e 'classificare' i piloti. Ora abbiamo iniziato la promozione dell'attività".
Dove vi espanderete?
"Negli USA, Asia, Middle East, Africa. Credo che il talento sia ovunque, meno le opportunità. Vogliamo dare più opportunità ai piloti talentuosi. Facciamo ciò che fanno le academy ma in modo sofisticato. Non dobbiamo essere in pista. I piloti iniziano a competere a basso costo e, con il nostro sistema, sono valutati con i dati che arrivano da ogni parte del mondo. Scopriamo i talenti rapidamente".
Torniamo alla sua carriera. Come ha iniziato?
"Ho iniziato a lavorare in F1 a fine anni '90, alla Stewart, poi diventata Jaguar e ora Red Bull. Era un team piccolo, dove sono entrato dopo l'università. Oggi ci sono migliaia di tecnici, allora no: lavoravo in galleria del vento, design, dinamica: ovunque, si imparava molto. Poi sono andato in Jordan, come ingegnere di Frentezen e poi di Fisichella, con cui ero amico e che ho ritrovato anni dopo in Ferrari. Un cerchio perfetto".
Poi la chiamata della Ferrari, cosa ricorda?
"Nel 2003 sono passato in Ferrari, nel test team, imparando a lavorare in un top team. Dal 2006 sono diventato ingegnere di pista di Felipe Massa, vincendo molte gare e quasi un campionato. In pochi credevano in lui, ma è stato bello. Nei miei anni abbiamo vinto, in tutto, 7 campionati".
E infine l'avventura in Williams...
"Nel 2014 sono tornato in UK, dato che i miei figli stavano crescendo. Sono andato in Williams, ottenendo buoni risultati, malgrado all'inizio il team fosse in crisi. Nel 2014 abbiamo sfruttato la PU Mercedes e chiuso al terzo posto tra i costruttori. Molti pensavano fosse solo grazie al motore, ma abbiamo ripetuto il risultato nel 2015. Dal 2018 mi sono preso una pausa, dopo anni di attività al 100%, e ho fondato la mia azienda".
Tornando agli anni in Ferrari: per gran parte ha lavorato come ingegnere di pista di Felipe Massa. Ci racconta qualcosa di Felipe?
"È una persona fantastica, abbiamo lavorato insieme per oltre 10 anni e abbiamo avuto da subito un bel feeling. È sempre stato veloce, un pilota completo. Abbiamo lavorato bene insieme, ci siamo divertiti. C'era feeling, in pista e fuori, ed è nata una bella amicizia. Ancora oggi ci parlo spesso. Di solito la F1 è un ambiente brutale, dove è difficile avere amicizie vere ma con lui è successo, e abbiamo ottenuto molto. È una bella persona, umile, profondo, umano e un bel pilota".
Insieme avete vissuto grandi emozioni, come il mondiale sfiorato in Brasile. Cosa ricorda?
"Avremmo potuto vincere il titolo "facilmente" se non avessimo perso tanti punti quell'anno. Ricordo i punti persi in Malesia, a Budapest con il motore esploso all'ultimo giro, a Singapore dove Felipe era in pole e in gara stava dominando. Pensi che abbiamo perso per 1 punto...".
Punti persi per errori, sfortuna o altro?
"Sa, Ross Brawn si era ritirato nel 2007, ci affidavamo molto a lui per le decisioni importanti, era fondamentale. Penso che se fosse andato via nel 2008 avremmo preso decisioni leggermente diverse, forse più conservative. Non è successo, ma penso che avremmo potuto vincere il titolo".
Avete perso il titolo a Interlagos pur avendo concluso, come lei disse, il miglior weekend come esecuzione. Un paradosso, non crede?
"Si. Sulla carta abbiamo perso lì il titolo, ma non è stata quella la gara decisiva. Quel weekend come team siamo stati perfetti, non ho più visto niente di simile nella mia carriera. Tutti lavoravano bene insieme, meccanici, pilota, ingegneri. Tutto era stato programmato in modo meticoloso, sempre in prima posizione nelle prove, poi pole position. Una gara difficile, tra asciutto e bagnato, tutte le decisioni giuste e Felipe esente dal minimo errore, vincitore in gara con ampio margine. Vivevamo il weekend ora per ora, potevamo solo vincere. Ripeto: è stato il weekend con la miglior esecuzione, senza arroganza. Ho visto pochi altri team fare lo stesso: pole, giro veloce e vittoria con quella pressione, quella competizione e quelle condizioni".
Mondiale, forse, non ancora chiuso. Cosa pensa possa ottenere Felipe con le azioni legali contro FIA e F1?
"Non ho idea. Felipe ha il diritto di fare ciò che crede, è sempre stato chiaro. Crede che non ci sia stata giustizia quel giorno. Ha messo insieme un bel team di legali, ora è andato in tribunale. Dobbiamo solo aspettare e vedere cosa accadrà".
Emozioni positive ma anche negative, come quelle dell'incidente di Budapest del 2009...
"È stato un periodo difficile, in generale. Dopo il crash abbiamo vissuto momenti confusi, non capivamo cosa stesse accadendo. Provavamo a capire dai dati cosa fosse successo, non avendo risposta dal pilota. Poi venne al box Flavio Briatore, con una foto dell'oggetto che aveva colpito Felipe: la molla della vettura di Barrichello. Tutto è stato chiaro. I giorni e le settimane seguenti sono state dure. La notte del sabato siamo andati in ospedale da Felipe, dopo l'operazione. Da allora le sue condizioni sono via via migliorate, con l'aiuto del team, della famiglia e degli amici".
Un recupero completo, conferma?
"Assolutamente, zero cambiamenti. Era lo stesso, malgrado ciò che alcuni pensano. Lo dico conoscendo i dati della sua guida, oltre che conoscendolo bene come persona".
In Ferrari ha anche vissuto gli anni dei titoli sfiorati da Alonso. Un suo parere su Fernando?
"Alonso in quegli anni, non avendo la miglior macchina, riusciva sempre a trarne il massimo come nessun altro era in grado di fare. Un miracolo. È un peccato non aver vinto nel 2010 e 2012, ma credo siano comunque stati anni positivi per lui. Era lì, sempre a punti, magari aiutato dalla lotta tra i piloti Red Bull ma comunque, miracolosamente, in lotta per il titolo sino alla fine".
Come ad Abu Dhabi 2010, una gara per molti gettata, in cui era impossibile perdere...
"È sempre possibile perdere (ride, ndr), infatti è successo. Come è successo a Massa nel 2008: era impossibile rompere un motore in Ungheria, ma è successo. Era impossibile per Hamilton perdere il mondiale ad Abu Dhabi con quel gap, ma è successo. Ci sono stati errori, Alonso è rimasto dietro alla Renault per troppi giri. È frustrante, ma i campionati sono fatti di 20 gare, non di una. Non è mai una gara, un errore, un episodio a decidere un mondiale".
In cosa consiste il lavoro dell'ingegnere di pista?
"L'ingegnere di pista deve ottimizzare tutto, massimizzare il potenziale dell'intero pacchetto, di macchina e pilota, mettendo insieme le indicazioni dell'ingegnere delle gomme, del motorista, di quello del cambio, di quello elettronico e amalgamarli, prediligendo il compromesso migliore. Non si ha mai la miglior macchina dal punto di vista aerodinamico o di motore, ma si deve trovare il compromesso. Si tratta di ottimizzare".
Nel 2014 lascia la Ferrari per la Williams, facendo bene. Perché la Williams, dal 2014, è passata da essere un top team a fanalino di coda?
"Credo sia dipeso dalla totale mancanza di investimenti, che dura da anni. Al mio arrivo alcune aree erano veramente arretrate, dieci anni indietro rispetto alla Ferrari. Credo che le carenze principali fossero nei tempi di fabbricazione delle componenti, fattore cruciale perché puoi avere le migliori idee al mondo, ma se impieghi anni per metterle in macchina diventano inutili. In F1 è cruciale minimizzare i tempi di progettazione e realizzazione delle parti. In Williams erano indietro: pensi che dovevamo fermare lo sviluppo della vettura per l'anno successivo molti mesi in anticipo per averla pronta per la prima gara in Australia".
Non avete mai provato a cambiare qualcosa?
"A fine 2018 abbiamo provato a forzare le tempistiche per sviluppare maggiormente l'auto. Il risultato? Dei pezzi non erano pronti in tempo per i test in Spagna nel 2019, con l'intera sessione saltata in attesa delle parti per il test successivo".
Sembra ciò che è successo in Australia...
"Una situazione simile a ciò che è accaduto a Melbourne dove in Williams avevano solo due telai, senza scorta. Ripeto, gli investimenti sono cruciali: più investi, più puoi produrre, sviluppare, crescere. Altrimenti è impossibile guardare al futuro".
Fattore per cui ha deciso di lasciare il team?
"Credo fosse giunto il momento, non avevo altro da dare, la situazione peggiorava, l'auto regrediva. Non c'erano piani di investimenti per modernizzare metodologie o infrastrutture. Era difficile. Se sono in F1 voglio essere in un team capace di vincere".
Lei è inglese e ha lavorato in Ferrari. Nel 2025 un inglese, Lewis Hamilton, arriverà in Ferrari. Le chiedo se condivide l'operazione e se pensa che Lewis potrà avere delle difficoltà di adattamento.
"Non penso che Lewis avrà difficoltà, è molto intelligente. Penso che la Ferrari sia pronta per tornare a vincere. Hanno la seconda miglior macchina, a volte la migliore, come in Australia. Un pilota come Hamilton con sette, quasi otto mondiali può garantire il plus che serve. Non vinci un titolo con una gara ma con molte gare durante l'anno".
Quindi vede la Ferrari ben messa per il futuro?
"In passato è sempre stato così. A fine anni '90 la Ferrari ha iniziato a vincere gare per poi vincere a raffica. La Red Bull nel 2009 era competitiva ma imprecisa: dal 2010 hanno dominato. La Mercedes nel 2013 aveva a tratti l'auto migliore: dal 2014 ha vinto. È stato sempre così, ora la Ferrari sembra pronta ad iniziare un ciclo. Con Hamilton potrà tornare grande".
Domanda di rito: cosa pensa della F1 di oggi?
"Mi piace. È bello vedere un team e un pilota all'apice come la Red Bull e Verstappen. È il DNA della F1. Dominano perché lavorano meglio degli altri team: sono loro a dover migliorare, non il contrario. Il midfield è compatto: ciò avvalora il budget cap, che ha reso la F1 in economicamente sostenibile. La F1 è in salute, ci sono nuovi fan, giovani, ragazze. L'importante è continuare a soddisfare i vecchi fan e coinvolgere i nuovi".
Ultima domanda: chi è oggi Rob Smedley?
"Rob è un uomo d'affari che lavora duro, anche di più rispetto agli anni in F1. Ho la mia attività, passo molto tempo con la mia famiglia. Sono ancora nel Circus, seguo dal vivo dei GP per affari. Sono un uomo felice, e soprattutto molto fortunato".
Leggi anche: Ferrari, Chinchero: «Ecco il prossimo obiettivo della Ferrari. 2024 si giocherà sugli sviluppi»
Leggi anche: Verstappen ritorna al vertice a Suzuka, ma la Ferrari non molla: le pagelle del GP