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15/05/2025 07:00:00

Genio, matita e leggenda: Newey si racconta all’alba di una nuova, e forse ultima, avventura


News di Daniele Muscarella

Figura schiva ma universalmente rispettata, ha saputo lasciare un’impronta indelebile non solo con le sue vetture vincenti, ma anche con il suo metodo, la sua sensibilità artistica e un rapporto quasi fisico con il foglio bianco. Newey è uno degli ultimi a pensare l’auto nella sua interezza, a disegnare con la matita, a vivere la F1 come un’arte applicata alla scienza.

Nella lunga intervista pubblicata direttamente da Aston Martin, ci accompagna dentro la sua mente, tra ricordi, miti e abitudini diventate leggenda. Abbiamo scelto di dedicare quattro articoli a questa lunga conversazione: questo quarto e ultimo capitolo è un omaggio alla sua carriera, al suo stile inconfondibile e al fascino di un genio che continua a cercare la perfezione, una linea alla volta.

In un mondo sempre più dominato da software, simulazioni e ingegneria iper-specializzata, Adrian Newey rappresenta un anacronismo affascinante: l’uomo che continua a progettare monoposto vincenti con una matita in mano e la testa piena di visioni aerodinamiche. Un ingegnere, sì, ma anche un artista. Un perfezionista. Un’icona.

Alla AMR Technology Campus di Silverstone, mentre tutto il paddock lo attende al box, Newey è ancora alla sua scrivania, assorto su un foglio A0, perso nello stesso gesto che lo accompagna da decenni. “Il disegno a mano è la mia prima lingua,” racconta. “Sono cresciuto con il tecnigrafo. Per me, cambiare le idee mentre le traccio, cancellare linee e modificarle mentre nascono, è un processo naturale. Se ho un disegno con 100 linee, ne ho tracciate e cancellate almeno il doppio.”

Molto si è detto del suo blocco appunti, sempre in mano nei momenti cruciali, un oggetto diventato quasi un feticcio. “In realtà, non è altro che un raccoglitore di fogli A4. Ci scarabocchio idee, schizzi, pensieri. A volte neanche io riesco a leggere cosa ci ho scritto. Ma mi serve per fissare quello che mi passa per la testa in quel momento.”

Il suo approccio, tanto semplice quanto geniale, nasce da lontano. “Da bambino volevo lavorare in corse. Non sapevo nemmeno cosa fosse un ingegnere. Leggevo tutto quello che trovavo sulle auto da corsa. Poi ho studiato ingegneria aeronautica, e dopo la laurea ho avuto esperienze immediate su aerodinamica, meccanica e dinamica veicolo.”

È questa visione d’insieme a renderlo un unicum. “Penso che vedere l’auto come un tutt’uno venga dal fatto che ho dovuto metterci mano su ogni singolo aspetto. Disegnavo, testavo, seguivo le gare in pista. Ancora oggi cerco di conservare quella visione olistica.”

La capacità di “vedere l’aria” che scorre intorno a una vettura è uno dei miti legati a Newey. “Non so se è vero. Ma ho sempre disegnato, modellato, costruito. Forse è genetico, la mia famiglia è piuttosto artistica. Se fai qualcosa fin da piccolo, sviluppi connessioni neurali che ti rendono bravo. È la regola delle 10.000 ore.”

Eppure, di fronte al peso della propria leggenda, Newey rimane schivo: “Non ci penso. Faccio questo lavoro perché mi diverte. Mi piace essere da solo con le idee, ma anche confrontarmi con gli altri, ascoltare i piloti. Ricevere feedback sinceri, anche duri, è l’unico modo per migliorare. È questo che rende la Formula 1 così gratificante.”

Adesso il suo nome è legato all’ambizione di Lawrence Stroll: trasformare Aston Martin in una scuderia campione del mondo. Una sfida titanica, che per molti sembra già scritta. Ma Newey avverte: “Non esistono magie in Formula 1. È un mondo complesso, fatto di simulazioni, dati, strumenti che vanno adattati e perfezionati nel tempo. Tutto deve funzionare insieme.”

Forse è proprio questa la vera magia: non una bacchetta, ma una matita. Non un colpo di fortuna, ma il lavoro paziente e ossessivo che dura una vita. E se davvero Aston Martin un giorno dovesse vincere il titolo, quel trofeo porterà con sé l’eco di mille linee tracciate – e cancellate – su un foglio bianco. L’ultima firma, forse, di un uomo già leggenda.

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