Noi non ce la facciamo a riconoscere il merito nemmeno quando è assoluto. Noi siamo noi italiani, anche se l'avevate già capito; il merito assoluto è quello di chi andrebbe soltanto osannato per come abbina il talento alla cultura del lavoro quotidiano, al miglioramento di sé, alla cura dei particolari. Quello di uno come Jannik Sinner, tanto per fare un esempio. 

Sì, lo sappiamo: questo non è un sito che si occupa di tennis. Però è un sito che tratta di sport, in particolare di quello sport in nome del quale un uomo un giorno realizzò qualcosa di impensabile e dopo qualche tempo ebbe anche modo di meditarci sopra, distillando uno degli aforismi filosofici più azzeccati del Novecento, o più azzeccati in assoluto, sul nostro Paese. 

Sinner, dicevamo, ovvero l'anno e il giorno zero in cui la storia del nostro sport è cambiata, grazie alla vittoria di Wimbledon. Vittoria grandiosa, epocale, eppure non a tutti i nostri connazionali gradita, o non del tutto. C'è sempre qualcosa da eccepire, da contestare, un "Sì però..." da tenere nel taschino. Che siano le tasse pagate a Montecarlo (molti di quelli che eccepiscono su questo aspetto non le pagano affatto), il carattere riservato, l'accento altoatesino, il fatto che non abbia per niente bisogno di apparire "paraculo" per ingraziarsi la nostra opinione pubblica. 

Un'assoluta grandezza per un gradimento soltanto relativo, a giudizio di un certo numero di nostri connazionali. Ecco che allora la frase più lucida, spietata, geniale di Enzo Ferrari diventa anche la più attuale, cosa che non smetterà di essere: - Gli italiani perdonano tutto, ma non il successo -. 

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