Lewis Hamilton si è sempre esposto senza timori nelle grandi questioni sociali e umanitarie. Nelle ultime ore, attraverso una storia su Instagram, il sette volte campione del mondo ha voluto esprimere la sua preoccupazione per quanto accade nella Striscia di Gaza, condividendo parole durissime che fotografano una tragedia ormai fuori controllo, e che richiede la massima esposizione mediatica. Un gesto che si inserisce nel solco di un impegno costante, quello di Hamilton, che lo vede spesso usare la sua popolarità per dare visibilità a cause ben oltre i confini della Formula 1.
“La situazione a Gaza peggiora di giorno in giorno. Negli ultimi due anni, più del 10% della popolazione è stata uccisa o ferita — incluse decine di migliaia di bambini — e quel numero continua a crescere. La più recente incursione su Gaza City ha costretto centinaia di migliaia di persone a lasciare le proprie case, con gli ospedali lungo la Striscia già sopraffatti tra chi soffre la carestia e le vittime dei bombardamenti che non sembrano finire mai. Oggi, una commissione d’inchiesta dell’ONU ha descritto ciò che sta accadendo a Gaza come un genocidio. In quanto esseri umani, non possiamo restare a guardare e permettere che tutto questo continui.”
Parole nette, focalizzate su un termine, genocidio, che in pochi hanno il coraggio di usare e che richiamano l’urgenza di non restare indifferenti. Hamilton, come già in passato Sebastian Vettel, dimostra di essere straordinario non solo in pista ma anche nella coscienza civile, in grado di catalizzare l’attenzione mondiale su temi che riguardano la dignità e la vita delle persone, i diritti umani e le responsabilità di chi, come la F1, ha una piattaforma globale con un peso mediatico enorme.
In questo contesto vi ripropongo un interrogativo forse scomodo per la Formula 1: è opportuno correre in Qatar tra poche settimane?
Poche ore fa il primo ministro Israeliano Netanyahu ha dichiarato: «Trump mi ha invitato alla Casa Bianca. Il Qatar finanzia Hamas»
L’attacco israeliano di pochi giorni fa alla sede dove si sarebbero riuniti esponenti di Hamas è avvenuto a Doha, a pochi chilometri dal circuito di Losail. La vicinanza geografica dell'attacco non è un dettaglio da trascurare per quanto riguarda la sicurezza, ed anche se il conflitto principale si svolge a 2000km di distanza è necessario fare valutazioni più ampie: si tratta di un’area coinvolta nell'escalation di violenza e comunque esposta a tensioni, e portare lì l’indotto economico di un Gran Premio è una scelta quantomeno controversa.
Il nodo non è solo la sicurezza, ma anche la coerenza etica. Si può celebrare lo spettacolo della F1 mentre, in territori coinvolti nello stesso conflitto, si contano migliaia di vittime innocenti? Nel 2022, di fronte alla guerra in Ucraina, il circus scelse di cancellare il GP di Russia per motivi etici e politici, ed oggi probabilmente si dovrebbe adottare un criterio simile, se non per punire il Paese che ha dato il via al conflitto quanto meno per dissociarsi da un area economicamente coinvolta nel conflitto.
Queste riflessioni e le parole di Hamilton dovrebbero ricordarci che la Formula 1 non vive in una bolla. Le scelte di calendario, soprattutto quando si tratta di Paesi coinvolti in un conflitto, non dovrebbero prescindere da considerazioni di carattere umano. Se la F1 vuole davvero essere globale, deve anche accettare la propria responsabilità di posizionarsi di fronte a ciò che accade nel mondo, senza limitarsi a correre come se nulla fosse. In questo senso, il messaggio — che cita apertamente il termine genocidio riportando la posizione di una commissione ONU — non è soltanto un appello morale, ma un invito a riconsiderare scelte che hanno un impatto concreto ben oltre lo spettacolo in pista.
Foto copertina www.ilsole24ore.com
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