"Ama i tuoi nemici perché essi tirano fuori il meglio di te."
- (Friedrich Nietzsche)
Loro due non sono stati Apollo e Dioniso, come abbiamo potuto scrivere per James Hunt e Niki Lauda, visti i profili caratteriali e il modo di intendere le corse e la vita stessa; per Ayrton Senna e Alain Prost, pur se tentassimo di scomodare metafore mitologiche o storiche, non troveremmo
mai un corrispettivo alla loro rivalità.
Una cosa è certa: dovevano capitarsi a vicenda; un giorno nel mondo delle corse a un pilota dominante come Prost, che aveva gettato le premesse per diventare dominatore assoluto di un decennio, grosso modo tra la metà degli anni Ottanta e la prima parte dei Novanta, sarebbe capitato uno come Senna, diverso da tutti gli altri, pur grandi avversari come Mansell, Berger o Piquet.
È con i duelli tra Prost e Senna che la Formula Uno scopre una competizione diversa, una lotta in pista che non è soltanto serrata, o intensa; perché nella loro contesa a colpi di staccate e di traiettorie con le quali si ostruiscono la visuale a vicenda, nei gran premi cala una dimensione nuova, di un’asprezza non conosciuta fino a quei loro momenti; di bagarre che non ammette esitazioni, di obbligatoria durezza in cui l’aggressività nasconde (non molto bene, per la verità) la rinuncia a ogni tipo di scrupolo.
Vicendevolmente, anche Prost ha reso Senna un eletto, riservando a lui, a lui soltanto, la sua disposizione ad alzare la soglia della sfida e di conseguenza anche quella del rischio. Lui, l’allievo prediletto di Niki Lauda, che si lascia trascinare sul terreno di un duello che a volte non contempla nemmeno la vittoria, come posta in palio. Ha mai trattato così un altro avversario, Alain Prost? No, nemmeno lui. Né il Professore, né Ayrton Senna, hanno mai riservato a un altro pilota quella voglia di infliggere umiliazione che aveva soprattutto Senna nei confronti di Prost, ma anche viceversa con modalità un po’ meno eclatanti, loro due si sono riservati a vicenda.
"Segno d’inestinguibil odio e d’indomato amor…" diceva il Poeta. In quel caso, parlava di un francese; quel francese chiedeva a Dio di far vivere a lungo il suo nemico, a lungo e in buona salute, affinché potesse assistere a tutti i suoi successi. Anche quelli, in qualche modo, hanno saputo dedicarseli a vicenda; dedicarseli, già, per un motivo molto semplice: perché il resto del mondo ha sempre visto nella vittoria dell’uno, la sconfitta dell’altro.
Era comparso dal nulla, Ayrton, come termine di paragone in un duello, o meglio dall’acqua, quella torrenziale che si stava riversando sul tracciato di Montecarlo durante il gran premio del 1984, con la sua obsoleta Toleman Hart e con la sua convinzione di aver vinto quella gara che Prost aveva chiesto di fermare e per la quale Ayrton aveva effettuato il suo illusorio giro d’onore.
Nove anni dopo, Adelaide ‘93, comincia l’era del rispetto. Prost è Campione del Mondo per la quarta volta, con la imprendibile Williams dalle sospensioni attive; Senna ha appena vinto l’ultimo gran premio con la McLaren. L’ultimo gran premio in assoluto, si scoprirà sei mesi dopo. Sul podio, va in scena lo scioglimento di un ghiacciaio, per via di metafora: Ayrton alza il braccio ad Alain, platealmente pretende che il pubblico gli tributi ogni onore al termine di una fantasmagorica carriera. L’abbraccio è franco e sincero.
Del resto, lo ha detto anche Leonardo Senna al nostro Direttore: "Anche dopo che Prost ha lasciato la squadra, Alain è sempre stato l'avversario principale di Ayrton. Ma penso che in realtà, alla fine, stavano addirittura ristabilendo un’ amicizia."
C’è, oltre al saluto cavalleresco, una più profonda e delicata - non vi sorprenda l’aggettivo, se si parla di Ayrton Senna e di rapporti umani - simbologia, che diverrà sempre più nitida negli anni a seguire; nel momento in cui gli solleva il braccio, Ayrton è come se stesse dicendo al mondo che si è goduto le loro sfide e forse ancora di più a se stesso: - Ecco, questo è stato il mio nemico migliore; l’antagonista che più mi ha migliorato, che mi ha sempre spinto a pretendere il meglio da me stesso. -
Ancora dalla nostra intervista a Leonardo Senna: "C’è stato un riconoscimento reciproco di ciò che i due erano per la Formula Uno."
Ecco perché se un dio esce di scena, l’altro non può che immaginare almeno una parte di sé, e capirà a breve quanto consistente, che accompagna il grande rivale verso un crepuscolo che non può fare a meno di assomigliare a un sipario. Tutto quello che sarà destinato a essere da questo momento in poi, Ayrton Senna sa che non potrà che goderselo o maledirlo da solo: senza più quel confronto lì, senza poter individuare quel casco con le strisce della bandiera francese; senza più poter gettare oltre i cordoli una manciata di scrupoli, visto che non ci sarebbe più stato l’unico altro uomo speciale in mezzo alla bagarre, al quale sgambettare la traiettoria perfetta.
Tra l’inizio del “romanzo” a Montecarlo nel 1984 e questo epilogo ad Adelaide, c’erano stati una miriade di episodi controversi, scaturigine di grandi polemiche e di strascichi disciplinari, con il culmine dei due Gran Premi del Giappone a Suzuka, nel 1989 e nel 1990, indelebili nella memoria degli appassionati e dei tifosi dell’uno e dell’altro. Nessuno più di Ayrton Senna lo ha saputo sintetizzare meglio: - Lui con me è umanamente incompatibile, ma non riesco a immaginare la mia carriera senza lo stimolo rappresentato da Alain -.
Foto copertina sport.virgilio.it
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