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17/12/2022 14:40:00

Formula 1, è cambiato tutto per non cambiare niente: dove hanno sbagliato?


Articolo di Paolo Sorgi
Le modifiche al regolamento tecnico nascono spesso dalla necessità di livellare le forze in campo, quella del 2022, inizialmente prevista per il 2021, è stata certamente la più importante dell’ultimo decennio, ma qualcosa non sta funzionando.

"Bisogna cambiare tutto per non cambiare niente", così scriveva Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne "Il Gattopardo", o almeno questa è la frase che certamente simboleggia l'inefficacia del cambiamento in certi contesti.

In Formula 1 le modifiche al regolamento tecnico nascono spesso dalla necessità di livellare le forze in campo. Allo stesso modo si cerca di evitare cicli di dominio eccessivamente prolungati, nel tentativo di rendere i campionati più combattuti e spettacolari. 

Quella del 2022 è stata certamente la modifica più importante dell'ultimo decennio, con la reintroduzione delle macchine a effetto suolo che è stata salutata da tifosi e addetti ai lavori come una vera e propria rivoluzione tecnica. 

Anche in questo caso si è cercato di ridurre la forbice tra top team e squadre minori, complice anche l'adozione del budget cap e delle limitazioni sui test aerodinamici che crescono in funzione della posizione in classifica. 

L'apparato normativo tecnico-sportivo così concepito dovrebbe garantire una certa omogeneità di prestazioni tra le squadre, nel tentativo di rendere più serrata e aperta la corsa per l'iride. Il condizionale è d'obbligo, perché nel 2022 abbiamo assistito alla solita lotta a due, con la Mercedes rientrata in lizza per le posizioni che contano solo sul finire della stagione. 

Il caso Mercedes tuttavia è da ritenersi quasi incidentale, perché gli uomini di Wolff sono stati costretti a sviluppare oltremodo una W13 apparsa in grande difficoltà sin dai test invernali. I tecnici di Brackley, nel tentativo di correggere i mali congeniti del progetto, hanno continuato a sviluppare la vettura per tutta la stagione, a differenza di quanto fatto dalle dirette concorrenti e avendo probabilmente investito inizialmente meno sul nuovo progetto.

È stata lotta a tre, ma per sbaglio 

L'introduzione della DT 39 è stata per la squadra di Hamilton un'indubbia occasione per venire a capo dei problemi che affliggevano una vettura quasi impossibile da mettere a punto. I tecnici, costretti a scegliere tra assetti rialzati o evidenti (e potenzialmente pericolosi) fenomeni di saltellamento, sono riusciti a risolvere il problema porpoising-prestazioni solo dopo l'introduzione della discussa norma, mentre altri, Ferrari in primis, hanno patito la direttiva perdendo prestazioni a causa della richiesta rigidità del fondo e del limite imposto al saltellamento. 

Nella seconda parte del campionato abbiamo assistito quindi a una Mercedes in costante ripresa, capace di far vedere, seppure a sprazzi, guizzi prestazionali degni di nota. Un percorso di crescita che dapprima ha visto le W13 migliorare in termini di velocità pura, per poi arrivare a raggiungere anche prestazioni generali convincenti. 

Un percorso di crescita culminato con la doppietta di Interlagos, ma quando ormai sia Ferrari che Red Bull avevano abbandonato lo sviluppo delle proprie vetture, per concentrarsi sui rispettivi progetti 2023.

La lotta a tre che ha rivitalizzato il mondiale da Spa in poi è stata quindi possibile grazie a un cambio di regole in corso d'opera (l'ennesimo), e a una visione strategica diametralmente opposta tra il duo di testa e la rientrante Mercedes. 

Le intenzioni dei legislatori

Mercedes, Red Bull e Ferrari hanno preparato l'avvento dell'era effetto suolo con tre concept completamente differenti gli uni dagli altri: se a Brackley non avessero cannato il progetto avremmo probabilmente assistito davvero a una lotta a tre. 

In un probabile eccesso di sicurezza Wolff e dei suoi tecnici si erano presentati a Barcellona addirittura con una macchina differente, mostrando poi il reale progetto senza pance solo in Bahrain, certi che tale soluzione sarebbe valsa oltre un secondo sui diretti concorrenti.

Com'è andata a finire è sotto gli occhi di tutti, e parallelamente alla debacle Mercedes si è consumato l'apparente fallimento di un regolamento che nasceva per allargare la base di potenziali vincitori. Il divario tra gli abbonati al podio e il resto del gruppo è stato, nei fatti, siderale per tutta la stagione. 

C'è inoltre da considerare che le scuderie minori non possono permettersi sviluppi significativi a stagione in corso, nonostante il budget cap, introdotto nella stagione precedente. Quello che fa la differenza tra un top team e una scuderia di centro o fondo classifica, come ricorda Zack Brown in una recente intervista, è la disponibilità di mezzi e strutture: un divario incolmabile nel breve periodo.

Il tentativo di democratizzare l'aspetto finanziario di uno sport così costoso appare, ad oggi, una contraddizione in termini. 

Nel prossimo articolo, che sarà pubblicato tra qualche ora, vedremo invece quali sono le prospettive più concrete per uscire da questo pericoloso circolo vizioso e quali sono i prossimi passi che potrebbero contribuire a cambiare lo stato attuale delle cose.

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