L'ex team principal avrebbe potuto rimanere a Maranello come Chief Racing Team Engineers, prendendo di fatto il posto in quel momento occupato da Sanchez, ma è stato Binotto a scegliere di lasciare la Scuderia. Ripercorriamo l'ultimo periodo del suo lungo percorso in Rosso e valutiamo le possibili ragioni di questa scelta.
La storia di Mattia Binotto alla Ferrari, non è e non può essere limitata ai quattro anni in cui ha rivestito il ruolo di team principal dal 2019 al 2022, sostituendo Maurizio Arrivabene. L'ingegnere di Losanna arriva a Maranello nel 1995, come ingegnere motorista della squadra test, e nel 1997 viene promosso in F1 nel dream team che con Schumacher, Montezemolo, Todt, Brawn e Byrne portò all'era d'oro della Ferrari dal 2000 al 2004. Nel 2007 diviene Capo Ingegnere Corse e nel 2009 prima Responsabile delle Operazioni Motore e KERS, e poi Vicedirettore del reparto Motori ed Elettronica con l'ing. Marmorini. Il salto di qualità più importante arriva grazie a Sergio Marchionne che nel 2014 lo promuove Direttore del reparto Power Unit. Grazie ai passi avanti nella competitività delle monoposto del Cavallino nel 2015 viene ulteriormente promosso Direttore Tecnico prendendo il posto di James Allison. Seguono anni complicati in cui il dominio della Mercedes oscura i costanti passa avanti fatti dal team dal 2016 fino al 2019. Il "motor gate" del 2020 riporta in basso la Ferrari che in quella stagione affronta un lungo calvario fino al deludente quinto posto finale. Ma ancora una volta Binotto riesce a guidare un percorso di crescita con il terzo posto del 2021, ed il secondo della scorsa stagione, che per assurdo è quello che più peserà nella complicata fine dei rapporti con il team.
Nel 2022 la Ferrari presenta una monoposto estremamente competitiva, sfruttando la rivoluzione regolamentare e puntando su un progetto estremo e per certi versi unico. La F1-75 e Charles Leclerc iniziano la stagione in modo dominante, ma l'illusione di riportare il Titolo a Maranello svanisce già dopo metà stagione quando è chiaro che la Red Bull ha trovato una grande evoluzione della monoposto che meglio si adatta alle modifiche regolamentari. Il team principal viene sommerso dalle polemiche, anche a causa dei problemi di affidabilità e di alcuni errori di strategia che sottraggono punti e vittorie a Charles Leclerc, e alla fine della stagione, dopo una serie incontrollata di rumors ed anticipazioni, arriva la conferma delle dimissioni di Mattia Binotto. Il caos che ne segue è notevole, la Ferrari cerca un sostituto, bussa senza successo a porte importanti (Red Bull e Mercedes), e alla fine sarà Frederic Vasseur, dall'Alfa Romeo, a prendere il posto di Binotto. La sensazione è che servisse una "scossa" e che l'ingegnere di Losanna non fosse adeguato al suo ruolo, per alcune oggettive carenze di comunicazione con i media e di gestione dei piloti, o meglio DEL pilota, con quel "dito in faccia" di Binotto a Leclerc che rivelò a tutto il mondo la tensione interna al team.
Dopo le dimissioni e dopo la "gestione" del clamore mediatico, a Maranello devono gestire un ulteriore periodo complicato, perchè la F1-75 ha bisogno di importanti aggiornamenti per provare a fare l'ulteriore salto di qualità e lottare per la vittoria, aggiornamenti affidati a uomini che erano "molto vicini" a Binotto e che avevano iniziato a lavorare sulla SF-23 già a metà della scorsa stagione. Il problema è che la monoposto 2023 già dai primi test sembra molto lontana dalle prestazioni attese ed a complicare ulteriormente il tutto arrivano progressivamente gli annunci di altri addii. Prima Gino Rosato, storico uomo paddock del Cavallino, poi Jonathan Giacobazzi, executive race manager, poi clamorosamente ad inizio stagione anche David Sanchez, Head of Vehicle Concept, e da poche settimane anche Laurent Mekies (direttore sportivo). Una vera e propria rivoluzione che ha visto i già citati "uomini vicini a Binotto", come ha detto Vasseur in una recente intervista, lasciare progressivemente Maranello, abbandonando di fatto un progetto che loro avevano partorito e che avrebbero dovuto e potuto far crescere. Questa rivoluzione al momento sembra infatti aver peggiorato le cose, con la Ferrari che fatica a portare nuovi innesti di grande qualità a Maranello ed una monoposto che non riesce a progredire superando alcuni problemi che ne limitano fortemente il potenziale.
L'opinione degli addetti ai lavori e le domande che si fanno un po' tutti sono: ma la Ferrari non ha sbagliato ad allontanare Binotto? Non poteva proporgli il ruolo di direttore tecnico o Chief Racing Engineeer? La risposta, per quello che formula1.it ha potuto raccogliere in esclusiva, è che in realtà all'ingegnere di Losanna quel ruolo era stato proposto, anche più volte.
Esattamente, Binotto avrebbe potuto lasciare il mediaticamente pesantissimo ruolo di team principal per continuare a lavorare e migliorare la sua creatura, ma la sua scelta è stata quella di lasciare del tutto Maranello.
Su quali siano state le ragioni di questa decisione possiamo solo fare delle supposizioni. La prima è che i rapporti con la dirigenza si fossero oltremodo incrinati fino a perdere la necessaria fiducia reciproca, la seconda riguarda un possibile, ma poco probabile, aut aut tra lui e Leclerc, ed infine la più probabile: Mattia voleva ricoprire quel ruolo e sa di poterlo ancora fare in un'altra scuderia, come i recenti rumors sembrano confermare.
Di sicuro sappiamo che per vincere in Formula 1, o per dominare, non basta cambiare un uomo, ma serve piuttosto la giusta progettualità, serve un miglioramento progressivo come quello del dream team di Schumacher a cui dal 1996 al 2000 si diede il tempo di lavorare e progredire. Miglioramento che a dire il vero si deve riconoscere nella progressione dal 2020 al 2022 anche a Mattia Binotto, che però ha pagato l'enorme pressione ambientale che probabilmente non è stato in grado di gestire scegliendo, per quello che sappiamo adesso, di lasciare del tutto Maranello.
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