Una stretta di mano con lo sceicco e l'affare fatto: si correrà ad Abu Dhabi dal 2009, su un circuito ricavato sull'isola artificiale di Yas...

04/02/2007 Tempo di lettura: 3 minuti
Una stretta di mano con lo sceicco e l'affare fatto: si correrà ad Abu Dhabi dal 2009, su un circuito ricavato sull'isola artificiale di Yas. Bernie Ecclestone aggiunge così anche gli Emirati Arabi alla lista dei territori occupati e gongola ricordando le prime tappe della sua missione per la diffusione della Formula 1. Il muro di Berlino era ancora in piedi quando, nel 1985, riusciva a spingersi oltre la cortina di ferro per convincere il governo ungherese ad intraprendere i lavori per la costruzione del circuito di Budapest, completato in appena otto mesi e pronto per ospitare nel 1986 il suo primo Gran Premio. Da pratico imprenditore Bernie intuiva che anche altri paesi erano interessati a sborsare quattrini per ospitare il circo iridato e si lanciava alla conquista del mondo nel suo personalissimo ed originalissimo Risiko, allontanando gradualmente la Formula 1 dalle sue sedi storiche.

La macchina organizzativa non si arresta, continuando a viaggiare verso le opportunità commerciali offerte da nuovi mercati e mete esotiche: la Formula 1 si spinge fino in Malaysia nel 1999, torna nel 2000 negli Stati Uniti dopo nove anni di assenza, nel 2004 debutta in Medio Oriente e scopre la Cina, visita la Turchia nel 2005 e si prepara a volare alle pendici del Fuji. Nel 2002, sembra pronto addirittura un accordo con la Russia, da sempre sorda al richiamo dei motori: c’è il disegno di una pista a Nagatino, servita dalla metropolitana e circondata da alberghi e ristoranti a pochi passi dalla Piazza Rossa di Mosca, ci sono finanziamenti e garanzie; è un progetto complessivamente fattibile e allettante che però, un po' per via del coinvolgimento in prima linea di Tom Walkinshaw, che naviga in cattive acque a causa del fallimento della Arrows, un po' perché i russi non mostrano entusiasmo frenetico, non decolla e viene accantonato. Ecclestone non si arrende e, fra incontri con cordate di imprenditori di tutto il globo, trova il tempo di trattare con il Messico, prima di alzare bandiera bianca di fronte alle proteste degli ambientalisti che osteggiano l'iniziativa di portare i bolidi a sfrecciare nell’inedito scenario dello Yucatan.

Supportate dai governi locali e forti dell’assenza del divieto di pubblicità per le multinazionali del tabacco, nazioni come Corea, Sudafrica, Egitto, Argentina, Grecia, India, Bulgaria, Polonia e Romania premono per ottenere il loro appuntamento con il Mondiale, mentre il Vecchio Continente, da sempre culla della serie regina dell’automobilismo, avverte il pericolo di ritrovarsi a giocare in minoranza contro il resto del mondo in un domani neppure troppo lontano. È la previsione di Bernie Ecclestone: "Il futuro della Formula 1 non è in Europa".

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