Ormai è trascorso un anno da quando abbiamo avviato il progetto educativo Noah Cooks F1, che mira a mostrare come sia possibile utilizzare la F1 in chiave educativa.
In realtà, il progetto nacque molto tempo prima, nel lontano 2018, quando Noah aveva appena tre anni. Noah, che frequentava un asilo montessoriano, aveva sempre ricevuto un’educazione in cui il bambino viene messo al centro, diciamo un approccio "bottom up" piuttosto che il contrario per semplificare. Non è certo niente di rivoluzionario, già Plutarco 2000 anni fa diceva “i giovani non sono vasi da riempire ma fiaccole da accendere”.
Durante il Covid nacque l’idea di usare la cucina come palestra educativa per imparare la matematica, sviluppare manualità, arricchire il linguaggio, scoprire la storia. È così che nacque il progetto Noah Cooks. All’epoca ne parlarono riviste prestigiose come Wired
Il punto focale su cui ogni genitore si interroga è questo: come faccio a capire quale sia la passione di mio figlio? Qual è il confine tra l'esporlo a mille stimoli, cercando la chiave giusta, e lasciarlo libero di esplorare e trovare il suo fuoco interiore in autonomia?
È un confine sottile e, da genitore, sono stato sempre combattuto.
La cucina è stata un test per iniziare. Non che Noah avesse mostrato particolare interesse per la cucina (aveva solo tre anni), però vedeva me ai fornelli e, per un senso di vicinanza con il papà, ha voluto cimentarsi, era un momento di condivisione con me più che una passione.
Ha imparato a cucinare, si è messo alla prova, ha superato delle sfide, ma non era la sua passione. Nessuna fiamma interiore si era accesa piuttosto aveva dimostrato che con impegno e dedicazione si ottengono i risultati. Ma la passione, quella è altra cosa.
Poi, a settembre 2019, lì sì, ho visto una piccola fiamma accendersi.
Vedere un bambino di quasi quattro anni stare seduto per più di un’ora a guardare una macchina rossa che stava vincendo (Leclerc 2019) fu segno di qualcosa. È lì che decidemmo di trasformare il progetto Noah Cooks in Noah Cooks F1.
Fino a quel momento avevamo usato la cucina come palestra educativa: era possibile applicare lo stesso approccio con la F1?
Il progetto ha avuto un successo tale che anche alcune riviste americane si sono occupate di questa "sperimentazione".
Intanto il canale Instagram Noah Cooks F1 è cresciuto tantissimo, raggiungendo i 20K followers e conquistando una platea di ragazzi molto giovani che non seguivano molto la F1, ma che, grazie ai contenuti di Noah, si sono appassionati ed avvicinati al motorsport.
Noah Cooks F1 ha dimostrato che è possibile usare la Formula 1 per intrattenere i bambini, evitando il gaming e sviluppando anche competenze.
I suoi video, quando costruisce le piste analizza le telemetrie delle qualifiche o spiega argomenti tecnici, sono molto popolari perché riesce a comunicare in modo semplice contenuti complessi.
Noah non ha mai avuto una passione per la lettura, ma grazie ai libri sulla Formula 1, come quelli di Umberto Zapelloni, è riuscito ad appassionarsi anche alla lettura.
Le sue interviste con le leggende della Formula 1, come Jean Alesi, Riccardo Patrese , Jody Scheckter, o Peter Bayer, Ceo della Racing Bulls, sono tutte occasioni per mettersi alla prova: studiare e prepararsi prima di un’intervista, capire come mettere a proprio agio l’interlocutore, tutte abilità che ha imparato da solo, riguardando le sue interviste e capendo dove poteva migliorare.
Anche parlare in pubblico è un’abilità non banale da sviluppare.
La prima occasione è stata quando è stato invitato al Museo dell’Auto di Torino per commentare un GP e parlare di Formula 1 davanti a un centinaio di persone ed ad organizzare un laboratorio per bambini per mostrare cosa aveva imparato. La gioia incontenibile di Noah quando parla di F1 ha raggiunto anche la sua classe, infatti, quando è stato il momento di cimentarsi nella presentazione di un progetto da esporre alla classe, per Noah è stato facile scegliere l’argomento. Chi ha scelto i dinosauri, chi ha scelto le città, e Noah la F1.
Ma il canale Noah Cooks F1 è stato anche un modo per fargli capire che il mondo non è sempre tutto rosa e fiori.
Ovviamente il canale è gestito dai genitori (Noah non ha il telefono) e non mancano gli haters, anche nel suo caso.
Con moderazione, facciamo vedere a Noah anche i commenti negativi (le critiche costruttive e educate), anche questo fa parte del "gioco".
Arriverà il momento in cui sarà teenager e si confronterà con il mondo dei social, che ha le sue dinamiche.
Ma il progetto è stato utile per fargli vedere anche la forza della community.
Quando il suo profilo Instagram venne sospeso per un problema tecnico per qualche settimana, Noah aprì un account di backup e, in pochi giorni, la sua community era stata ricostruita, più forte che mai.
Anche quello fu una storia interessante: i social media sono uno strumento, possono esistere oppure no, ma la community esiste anche se i social dovessero sparire improvvisamente.
Molto spesso Noah arriva da me con nuove idee ed, in qualche modo, cerco di aiutarlo a concretizzarle, proprio perché quel fuoco che ha dentro per la F1 va alimentato, ma anche gestito, evitando che si scotti troppo.
La dura vita del genitore
Federico Bastiani