Il circo della Formula1 è quotidianamente alla ricerca di una polemica da far montare. Tra gli argomenti preferiti, ovviamente, quelli di natura economico-finanziaria.
Solitamente, quando si parla di danari, si finisce per chiamare in causa il grande “domatore” Bernie Ecclestone. Il quale non fornisce molti ragguagli sui suoi emolumenti (lasciando alla libera immaginazione di ognuno stabilirne la possibile entità) ma che non perde occasione per bacchettare i team che gli consentono di gestire il grande Barnum e che secondo lui, mettendosi in saccoccia il settanta per cento delle entrate derivanti dalle decine di sponsorizzazioni più o meno corpose che alimentano finanziariamente il mondo della Formula1, obbligano gli show-makers a fissare prezzi altissimi per gli spettatori dei gran premi.
Ecco quindi che immediata e conseguente si sviluppa l’equazione vincente: diminuire gli introiti delle scuderie per poter praticare prezzi più abbordabili per il pubblico. Che, tanto per cambiare, viene spremuto più e peggio del classico limone e risulta sempre essere l’anello più debole della catena. D’altronde per l’uomo dai capelli d’argento quello che realmente conta è il pubblico televisivo. Che consente ulteriori notevolissimi introiti garantiti dagli editori televisivi dell’intero globo terraqueo.
E così ad essere penalizzate sono sempre quelle persone (già, si tratta di persone…) che sono animate dal fuoco sacro della passione, che magari risparmiano per un anno intero pur di poterci essere, con tutto l’entusiasmo possibile per vivere un’avventura ogni anno diversa anche se, tutto sommato, il rito è sempre il medesimo. E allora la colpa del rincaro dei prezzi dei biglietti secondo Ecclestone è tutta dei teams che si accaparrano i sette decimi delle entrate. Abbassassero le loro pretese, tuona il patron. Ma non ci ha ancora detto di chi sono le tasche in cui finisce l’altro trenta per cento. E ci piacerebbe saperlo.