Credevamo che lo spettro della morte in F.1 fosse un triste e doloroso ricordo, ma i fatti, in modo spietato e inarrestabile, sono qui oggi a testimoniarci il contrario con raggelante fermezza. Sembra incredibile pensare che Jules Bianchi, venticinque anni, non sia più tra noi. Sembra un incubo, uno scherzo della mente, un pessimo sogno che poi ti dimentichi perché apri gli occhi e fortunatamente la realtà è ben altra. Invece non è così. Jules, con il suo sorriso, la sua gentilezza e la sua genuina essenza, ha combattuto fino alla fine come sempre, come in tutte le sue sfide. Da quel maledetto 5 ottobre sono passati nove mesi e mezzo, nei quali Jules non si è mai svegliato. Nove mesi in cui speranze e sconforto si sono mescolati all’insegna di un dramma che non doveva aver luogo, che non poteva trovare posto nella F.1 di oggi, ipertecnologica e altrettanto sicura.
Ma le corse in auto, per quanto ci si possa ingegnare in termini di sicurezza, avranno sempre un margine di pericolo che tutti i piloti, moderni eroi della velocità, accettano nel momento in cui decidono di vivere il loro tempo e la loro passione all’interno di una vettura da corsa, nessuna categoria esclusa. Fu tutto rapido, quella domenica di ottobre: la pioggia, la visibilità scarsa, il tracciato infido. Adrian Sutil esce alla curva Dunlop, il mezzo di recupero va a bordo pista per rimuovere la sua Sauber, la direzione gara non è celere nel mandare in pista la safety car e si avvera la “tempesta perfetta”. Jules perde il controllo della sua Marussia nella medesima curva e, fuori dall’occhio delle telecamere in mondovisione, subisce una fortissima decelerazione nell’impatto contro il mezzo di soccorso. Tutti gli spettatori non comprendono quanto sta accadendo, se non dopo alcuni minuti. Il rollbar della Marussia è divelto, ma non ci sono segni di impatto sul casco del giovane pilota francese. No. Il danno è molto più subdolo, non visibile dall’esterno: un danno assonale dovuto allo stiramento delle fibre nervose nell’agghiacciante decelerazione subita da Jules.
La gara viene interrotta, tutti nel paddock capiscono che qualcosa di grave sta colpendo il mondo della F.1 e i presentimenti sono orribili. Jules viene trasportato prima nei pressi dell’autodromo, nella struttura ospedaliera di Yokkaichi, per i primi soccorsi. Solo successivamente, dopo una lunga stabilizzazione, verrà trasportato nella sua Nizza, a casa, per ricevere nuove cure e per permettere a familiari, amici e fan di stringersi attorno a lui. Nella serata di venerdì 17 luglio Jules ci ha lasciato. 17, come il suo numero di gara. Dopo ventun anni lo spettro orrendo di una morte in gara torna in F.1. Non in modo violento come Ratzenberger e Senna, strappati alla vita nell’arco di pochissimo tempo, ma in un modo lento e ugualmente tragico: il buio dopo l’impatto, il mancato risveglio, i lunghi mesi di lotta e poi il silenzio. Sarà grazie a questa immane tragedia che in F.1 si adotterà sin dagli appuntamenti successivi la virtual safety car, per evitare che in pista si verifichino in condizioni critiche quelle falle, seppur minime, che a oggi sono costate la vita alla giovane promessa francese. A noi rimane il ricordo di un pilota bellissimo, dentro e fuori, di una stella nascente che era già legata alla Ferrari, di un ragazzo educato e sempre sorridente, che mancherà tantissimo a tutti. Noi non ti dimentichiamo, Jules. Ti sei solo allontanato dal nostro sguardo, ma sei rimasto e rimarrai con noi, sempre.