La caduta dell’impero
Finisce degnamente, così come era cominciato, il peggior campionato del mondo: con Hamilton a girare in prima per vedere se qualcuno recupera. E anche questo non è bastato: la superiorità della Mercedes è stata così imbarazzante che ha terminato ...

09/12/2016 23:09:00 Tempo di lettura: 10 minuti

Finisce degnamente, così come era cominciato, il peggior campionato del mondo: con Hamilton a girare in prima per vedere se qualcuno recupera. E anche questo non è bastato: la superiorità della Mercedes è stata così imbarazzante che ha terminato con un en plein, l’ottavo della stagione, il quarto consecutivo. Ringraziamo i tedeschi e un po’ la malasorte che ha afflitto Hamilton perché il rischio era quello di chiudere baracca e burattini sin dal Gran Premio nostrano.

Un’annata catastrofica sotto ogni punto di vista, in cui la Formula Uno ha perso la minima credibilità con una serie di errori e (in)decisioni degni dei migliori dilettanti allo sbaraglio. A partire dallo stupendo format di qualifiche adottato per mettere più pepe nel piatto del sabato con il risultato che Hamilton (l’ultimo a girare) andava a farsi la doccia dieci minuti prima della famosa “tagliola”, passando per l’imprescindibile Virtual Safety Car che dilata i distacchi, per finire con una serie di sentenze sportive al limite del ridicolo, tra cui l’indecente GP del Brasile. Il tutto infilato nel frullatore di un giro del globo cervellotico: prima Australia, poi Asia e Medio Oriente, poi Europa, poi ancora Canada, per tornare in Europa? (Ecclestone ha già allargato i confini all’Azerbaijan), e poi ancora Estremo Oriente, Estremo Occidente, Sud America per concludere dagli Emiri. Il risultato è che non ci abbiamo capito più niente nemmeno noi, e l’unica certezza erano le pole position delle Mercedes il sabato e la relativa vittoria il giorno dopo.

Quindi risulta un po’ difficile celebrare il mondiale vinto dal cuor-di-leone Rosberg (voto 10) che si teneva dal compagno di squadra alla stessa distanza che ciascuno di noi terrebbe da un lebbroso: eppure le carte per giocargli la vittoria sotto il naso, proprio all’ultima gara, ce le aveva tutte. Invece ha fatto il ragioniere, e l’ha fatto bene: quattro volte secondo nelle ultime quattro gare, esattamente ciò che gli era richiesto per strozzare l’urlo in gola al bretone più glamour degli ultimi anni. Onestamente Hamilton (9), dopo un inizio balbettante che ne ha compromesso la cavalcata, avrebbe meritato di più: la gara simbolo dell’annata è quella malese quando, in testa alla gara, ha dovuto alzare bandiera bianca (unico guasto registrato in gara dalle Frecce d’Argento) mentre il miracolato Nico, dopo aver fatto da punching-ball a Vettel, riusciva a tornare sul podio. A parti invertite la stessa scena vissuta in Ungheria lo scorso anno.

Come giudicare invece la clamorosa, per quanto comprensibile, scelta del neocampione? Le decisioni personali non vanno commentate: si può piuttosto constatare che sono una naturale conseguenza dello stile di vita di un pilota raramente sopra le righe e molto spesso onesto nel non chiudere la porta dopo un sorpasso. Rosberg non ha mai dato l’impressione del duro e, quando ha voluto farlo, come in Austria, ha dimostrato di non saperlo essere fino in fondo. Merita rispetto la dedizione con cui ha combattuto per il sogno di una vita, un sogno che sembrava ancor più difficile da raggiungere una volta incrociati i volanti con Hamilton. Meritano una risposta anche le critiche di chi ne sottovaluta l’impresa: se da un lato è pur vero che spesso Nico ha sofferto l’accostamento con Lewis, in questi anni alla Mercedes ha saputo raccogliere numerose vittorie e pole position, arricchendo un palmares che davvero in pochi possono vantare.

La scelta sul sostituto sembra banale: Pascal Wehrlein, già dell’orbita Mercedes, con il plus del passaporto tedesco, ha disputato un ottimo campionato con la Marussia e potrebbe essere ben tollerato da Hamilton. In queste ore è circolato il nome di Valentino Rossi: operazione che avrebbe del clamoroso, ma non del tutto improponibile. La Mercedes attirerebbe moltissime telecamere, l’audience ne beneficerebbe e le prestazioni del dottore sarebbero tali da non dar fastidio al bretone, ma probabilmente in grado di garantirgli un posizionamento in zona punti, soprattutto se la superiorità delle Frecce d’argento verrà confermata anche dai nuovi regolamenti. Quel che è certo è che per l’agonico mondo della Formula 1 l’arrivo di Rossi sarebbe come manna dal cielo. L’appeal della massima serie è ai minimi storici, al contrario di quello della MotoGP che con le rivalità italo-ispaniche ha trovato un’inaspettata linfa vitale. Siamo sicuri che ci sarebbe tantissimo interesse nel vedere Valentino dentro un abitacolo, ma non così certi che lo stesso accadrebbe con Hamilton in sella a una Yamaha, per esempio.

Alla F1 manca il carisma che infiamma le folle e che non può limitarsi alle pose da cattivo ragazzo del campione della Mercedes, molto abile nel rendersi antipatico quanto algido nel temperamento in pista. Qualcosa all’orizzonte comunque si muove e prende la sagoma di Max Verstappen (voto 8). Tante volte ci siamo scagliati contro il giovane olandese che però ha saputo portare una boccata d’aria fresca con i suoi sorpassi impazziti, i tagli di traiettoria, gli spintoni e la guida sul bagnato che ha ricordato Ayrton Senna. E come per il brasiliano genio e sregolatezza mettono in luce una questione mai risolta: la mancanza di autorità della direzione di gara. Il problema merita di essere affrontato approntando un collegio permanente, rapido e fermo nel prendere decisioni: poche penalità, ben chiare, per punire i comportamenti antisportivi e quei tagli di curve che i tracciati moderni consentono senza che il cronometro ne risenta. Stiamo ancora aspettando la squalifica del sopraccitato Senna per quell’incidente omicida del 1990.

Concludiamo questi pensieri sparsi con i voti di fine anno. La Mercedes (10 e lode) ha comunque consolidato una supremazia schiacciante, portando a casa addirittura 20 pole position e 19 vittorie, che a ben vedere, nella maggior parte dei casi sono figlie proprio delle qualifiche del sabato. Hamilton ha staccato Prost al secondo posto nella hall of fame e si sta leccando i baffi perché il record di Schumacher>Schumacher è a portata di mano. La Red Bull è la vera rivelazione. Ricciardo (8) è stato troppo spesso bistrattato, ma è riuscito egualmente a portare nel fienile l’unica pole persa per strada dalle Mercedes e una delle due vittorie conquistate dal team con le ali, ma ne avrebbe meritate almeno altre due, a Montecarlo e Barcellona. Di Verstappen abbiamo già detto.

Chiudiamo con la Ferrari: un’annata catastrofica su tutta la linea. Ci si attendevano grandi cose dopo i tre successi del 2015: vittorie figlie di tattica, affidabilità e bravura di Vettel, tre voci che sono venute completamente a mancare. A partire dalle solite e scellerate scelte dei box, dove sembra siano tornate le strategie di Domenicali, passando per numerosi ritiri (a volte persino ridicoli) e concludendo con l’inconsistenza del tedesco, scioltosi come neve al sole. Doveva essere l’ancora a cui aggrapparsi, è stato il primo a gettare bandiera bianca, preso a pesci in faccia anche dall’imbolsito Raikkonen, nonostante tutto autore di una delle sue più brillanti stagioni (e questo la dice tutta).

Tra le note positive il debutto della Haas (7), impressionante soprattutto nella prima parte, e il ritorno della Force India (8). Molto meno bene Williams (4) e soprattutto Renault (1): doveva essere un anno transitorio, sperano di vedere i frutti con la nuova stagione. E lo speriamo anche noi. Un caloroso abbraccio a Jenson Button, l’ultimo vero gentledriver dello schieramento: chiude in declino una carriera che lo ha ricompensato con un fortunoso, ma meritato, campionato del mondo. Un arrivederci un po’ meno commosso a Felipe Massa che ha giocato tante volte col destino e che negli ultimi anni era l’ombra di sé stesso. Non è mai stato un campione, nemmeno di simpatia.