Uno come Helmut Marko la faccia da ricco l’aveva anche da giovane: perché se lo poteva permettere. Gli alberghi di proprietà del padre, assieme ad altre attività economiche di famiglia, gli garantirono un Secondo Dopoguerra con la possibilità di essere biondo e sorridente, da buon rampollo di una famiglia agiata di Graz, dove nacque nel 1943.
Che fosse anche bravo e versatile al volante, non era previsto. Perché i figli di papà che si possono permettere di divertirsi col motorsport tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta erano molto più numerosi di oggi, visto il piglio dilettantesco che contraddistingueva la maggior parte di loro. Avrebbero poi smesso, alla spicciolata, uno dopo l’altro, dopo essersi tolti lo sfizio.
Marko no, Marko dovette smettere, proprio dopo avere dimostrato di sapere e potere continuare indipendentemente dai soldi del babbo, il quale peraltro aveva osteggiato sin dall’inizio la passione del figlio per i motori negandogli quasi subito l’appoggio finanziario. Ricco sì, dunque, ma bravo a prescindere e sfortunato, molto, proprio dopo averlo dimostrato in più competizioni.
La Formula Vee, vera fucina di e per talenti, ne svelò l’attitudine a competere con monoposto dalle ruote scoperte quando il decennio dei Settanta doveva ancora vedere l’alba; l’approdo successivo alla Formula 3 evidentemente non gli bastò, perché contemporaneamente esordì nella categoria Sportprototipi e subito dopo nel Campionato Europeo Turismo.
L’alba degli anni Settanta vede Marko passare dall’essere un astro nascente del volante a confermarsi un prospetto di campione: vince la 24 Ore di Le Mans in coppia con van Lennep sulla Porsche 917 ed esordisce in Formula Uno con la BRM. Il figlio di papà si rivela un pilota nato, indipendentemente dal censo familiare. E la scuderia inglese lo conferma per la stagione successiva.
2 luglio 1972, Clermont - Ferrand: la BRM di Marko tallona la Lotus di Fittipaldi, su un tracciato oggi impensabile, vista la tortuosità incastonata tra boschi e colline, con ampi tratti privi di vie di fuga. Una proiezione di pietrisco dallo pneumatico posteriore di Fittipaldi, un sasso un po’ più grande che diviene un proiettile: l’ultima cosa che viene messa a fuoco dall’occhio sinistro di Marko, che si chiude per sempre dietro la visiera perforata.
Laddove finì il pilota, cominciarono il manager, l’affarista, il talent scout: tutto quello che continua a essere con la massima lucidità, oggi che compie ottant’anni, Helmut Marko.
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