Sin dall'estate del 1978, i mass media iniziano a sbilanciarsi circa il futuro di Villeneuve e il rendimento, tutto sommato altalenante, che trattandosi di un pilota della Ferrari è sinonimo di deludente, non deporrebbe a favore di una sua riconferma. A suo sfavore, gioca anche il fatto che, con una monoposto affidabile e performante, non ha ancora vinto un gran premio. Ci è andato vicino a Long Beach e a Monza, ma in un modo o nell'altro è sempre stato penalizzato dalla sua irruenza.
Dalla sua, invece, il canadese ha due elementi, piuttosto rilevanti: il gradimento e la simpatia dei tifosi, la benevolenza di Enzo Ferrari, che si arrabbia per le macchine che distrugge in misura minore rispetto a quanto si esalti per le evoluzioni che compie e per il potenziale, in parte ancora inespresso, che vede in lui.
Il campionato del mondo del 1978, vinto da Mario Andretti con la Black Beauty, l'imprendibile Lotus 79 nero e oro, griffata John Player's Special, fa tappa per l'ultima gara in Canada. Il circuito non è più quello di Mosport, ormai inadatto e mancante di sicurezza per le monoposto di fine anni settanta; si corre sull'isolotto di Nôtre Dame, a Montréal, su una pista inedita, che si dipana tra strade urbane. Scenario mozzafiato, pubblico caldissimo e in delirio per il proprio figlio prediletto, quel Gilles Villeneuve che nelle pupille ha sempre impressi gli spazi candidi e illimitati dei lunghi inverni cavalcati in sella a una motoslitta.
In qualifica è terzo; davanti a lui partono Jarier - il sostituto di Peterson - sulla Lotus e Jody Scheckter sulla Wolf azzurro e oro. Jarier fugge, letteralmente; dietro, una spettacolare bagarre tra Villeneuve e l'australiano Alan Jones, pilota della Williams, per la terza posizione, mentre Scheckter è secondo ma con avvisaglie di problemi all'impianto frenante. Dopo un terzo dei giri, Villeneuve è secondo, in mezzo al clamore che infiamma le tribune; Jarier però sembra oggettivamente imprendibile, visto il ritmo che impone alla sua Lotus. Aggirata la boa di metà gara, però, un po' d'olio dei suoi freni comincia a lucidare l'asfalto...il margine di vantaggio si riduce, la Ferrari numero 12 diventa più grande negli specchietti.

È un boato da stadio di calcio quello che anticipa il cinquantesimo giro: Villeneuve infila il corridoio lasciato libero dal francese, che sa di non avere più la tenuta per opporsi. Primo. A casa sua. Chissà cosa passa per la testa al ragazzo di Berthierville, durante le tornate di ogni giro, come fa a restare calmo, a gestire lo sguardo che oscilla tra le lancette sul cruscotto, le bandiere intorno alla pista, la strada che si apre e si chiude ogni volta che il guanto destro sfiora il cambio. Dopo settanta giri, gli ultimi dei quali resi angosciosi da qualche variazione di tono che altera la sinfonia dei cilindri, vede gli scacchi bianchi e neri di una bandiera come punteggiatura del cielo di casa.
Sembra minuscolo, sul podio, alle prese con una gioia così grande; gigantesca la corona d'alloro, di qualche misura più grande il cappellino, solo appoggiato sui capelli che la maschera ignifuga aveva appiccicato sulla fronte. Quale bottiglia di champagne gli hanno dato, per brindare? Non è champagne, è la sua birra, quella che porta scritta anche sul casco, che si beve a casa sua. Non era mai accaduto, alla fine di un gran premio, che il vincitore brindasse con la birra. Tante cose, prima di Gilles Villeneuve, non erano mai accadute. Il suo paese se ne sta godendo una, mentre il suo sguardo lo abbraccia, dall'alto del primo gradino di un gran premio di Formula Uno.
Sotto il velo dell'immensa gioia, decisiva si rivela la vittoria nell'ultimo atto di quel mondiale avvincente e luttuoso, affinché le razze del volante più prestigioso del mondo continuino a essere sfiorate dai guanti di Gilles: la Ferrari ha scelto chi abbracciare nel proprio abitacolo anche per l'anno venturo. A salutare sarà Carlos Reutmann, talentuoso incompiuto. Ad affiancare Gilles per il 1979 sarà Jody Scheckter, sudafricano, esperto, velocissimo e combattivo ma al tempo stesso saggio. Un campione, dalla statura monumentale e dall'aria burbera, tanto che lo chiamano "L'orso". In realtà è un tipo franco, limpido; lui e Villeneuve impiegano pochissimo tempo per incontrarsi sul terreno comune del rispetto reciproco, della collaborazione e del gioco di squadra. Ne nascerà una delle più belle, rare amicizie nella storia delle corse automobilistiche. La loro frequentazione non si limita ai box e ai circuiti; le cronache riferiscono di viaggi in autostrada in cui Scheckter, pilota smaliziato, si aggrappa alla maniglia, terrorizzato, quando Villeneuve conduce alla sua maniera un'auto di serie.
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