Tazio Nuvolari, quando Icaro si tenne le ali
11/08/2023 07:05:00 Tempo di lettura: 4 minuti

Correre un secolo fa, più o meno; perchè son passati vent’anni da quando lui cominciava a vincere. Che era sempre, di conseguenza, sopravvivere. Ecco perché non potremo mai capire del tutto, il che accresce il fascino e nutre di interrogativi la leggenda. 

Una meccanica fragile e potente senza quasi nessun appiglio alla sicurezza che non fosse la capacità di non naufragare rispetto alle onde d’asfalto che trampoli di sospensioni consentivano di cavalcare. In proporzione, dunque, più veloce allora rispetto a oggi. E poi c’era il concetto del limite, davvero incolmabile, tra chi lo faceva e chi lo sognava. 

Tazio Nuvolari incarnava il trionfo del motore in un’Italia nella quale pistoni e cilindri erano ancora un sentito dire; un qualcosa visto passare, quasi sempre tra sbuffi di polvere, per poi raccontarlo più volte. Quando anche l’asfalto era un’idea di futuro. 

Proveniva dai dintorni di Mantova e dalla propria passione, visto che l’anticamera delle due ruote all’inizio gli servì a far fronte alle spese per gareggiare. Per dimostrare. Per cominciare a stupire. 

Le vittorie, su tutte quella del Nurburgring nel 1935 contro le Auto Union e le Mercedes finanziate direttamente da Hitler, erano la punteggiatura della sua leggenda: nel modo in cui le otteneva stava la sua unicità. 

Reinventava ogni curva nel momento in cui le anticipava: sembrava spedire gli pneumatici alla deriva verso l’interno, senza staccare il piede dall’acceleratore, come se perdesse il controllo della vettura, che però si ripresentava tenuta dalle briglie all’ingresso del rettilineo. Come se Icaro riuscisse a restare con le ali appiccicata alla schiena quando più nessuno ci credeva. 

Una fisicità scarna e ridotta, che nulla sembrava palesare dell’eroe o dell’uomo inimitabile, lui che anche da D’Annunzio fu celebrato; aveva però nel volto l’espressione perennemente febbrile di chi intende il suo rapporto con il limite soltanto nell’obbligo di superarlo. 

Solo le traiettorie della vita gli sfuggirono, come a ogni uomo che si scopra fragile quando si allontana dal luogo dove più si sente felice e protetto; come a lui quando scendeva dallo spartano abitacolo, che non lo protesse dalla morte di due figli diciottenni, che non lo immunizzò, per paradosso, dagli ultimi giri che compie l’esistenza degli uomini normali. 

Se ne andò nel letto di casa sua, con poco preavviso e tutto il clamore che settant’anni fa, l’11 agosto del 1953, spiegava cosa fosse all’epoca la vera celebrità, tanto più radicata e solenne della notorietà che oggi può piovere addosso a chiunque. 

Una grande storia che le spalle gracili di un uomo riuscirono a sollevare, portandola ovunque ci fosse un traguardo. Anche per questo, più di ogni altro, Tazio Nuvolari correva. 

Foto copertina twitter.com


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