La conquista del terzo alloro iridato consecutivo da parte di Super Max Verstappen ha riportato in auge l’eterna diatriba sui migliori piloti di sempre. Le statistiche proiettano di diritto il Campione olandese nel ristretto novero dei Super Campioni: fra tutte le 54 vittorie iridate, staccati Prost e Vettel, superando Alberto Ascari nella percentuale di gare vinte in una stagione. Accanto a questi strabilianti numeri statistici, ci sono anche i numeri in pista che l’olandese continua a regalare sin dal suo esordio: impressionante, per esempio, quando appena diciassettenne inventò un sorpasso funambolico ai danni di Felipe Nasr a Blanchimont sul circuito di Spa-Francorchamps. O quando durante il Gran Premio del Brasile del 2016 sembrava danzare sul bagnato, mentre gli altri arrancavano clamorosamente.
Ogni tentativo di stabilire una qualche classifica dei migliori di sempre è chiaramente scivoloso e irto di ostacoli, visto i limiti oggettivi intrinsechi di una tale analisi, e considerando anche le enormi differenze fra le diverse epoche così come la non uniformità della competitività e delle caratteristiche delle monoposto.
Accanto a tali limiti oggettivi ci sono poi le inevitabili preferenze personali, che a volte sfociano nel tifo stile ultras da stadio. Lo stesso pilota olandese è stato spesso oggetto di commenti al limite del disprezzo, ancor più gravi considerando che a volte sono arrivati da autorevoli esperti del settore.
Questo articolo vuole essere un tentativo iniziale (repetita iuvant: tentativo) di mantenere la discussione in termini il più possibile oggettivi, cercando di minimizzare (repetita iuvant bis: minimizzare) l’impatto delle differenti epoche e delle preferenze personali.
Sono state dunque a tal scopo individuate 13 caratteristiche fondamentali rispetto alla quale giudicare ogni singolo pilota, tenendo conto di aspetti sia assoluti che relativi.
Ad esempio, è chiaro dai numeri assoluti che dall’alto delle sue 101 vittorie, Lewis Hamilton, non può che ottenere il punteggio massimo alla voce race pace (passo gara). D’altra parte, i numeri relativi dicono che un pilota come Jenson Button, a parità di macchina in grado di reggere il passo di due piloti super sul passo gara quali lo stesso Hamilton ed Alonso, non può essere troppo lontano dagli stessi, pur vantando un palmares ben più ristretto.
Le 13 caratteristiche fondamentali prese in considerazione sono le seguenti:
Sono stati messi a confronto i piloti iridati susseguitesi dal 1988 ad oggi, ovvero i seguenti 14 Campioni del Mondo: Ayrton Senna (1988, 1990, 1991), Alain Prost (1989, 1993), Nigel Mansell (1992), Michael Schumacher (1994, 1995, 2000, 2001, 2002, 2003, 2004), Damon Hill (1996), Jacques Villeneuve (1997), Mika Hakkinen (1998, 1999), Fernando Alonso (2005, 2006), Kimi Raikkonen (2007), Lewis Hamilton (2008, 2014, 2015, 2017, 2018, 2019, 2020), Jenson Button (2009), Sebastian Vettel (2010, 2011, 2012, 2013), Nico Rosberg (2016) e Max Verstappen (2021, 2022, 2023).
A partire da ognuna dalla 13 caratteristiche individuate, si procede identificando il migliore/i migliori e gli si associa la posizione numero 1 (che rappresenta il punteggio più elevato). Poi si individuano quelli immediatamente alle spalle, a cui si associa la posizione numero 2 e così via fino a valutare i piloti rispetto ad ognuna delle caratteristiche.
Si ottiene in tal modo un tabellone globale contenente la valutazione di ognuno dei 14 campioni del mondo valutati rispetto alle 13 skill individuate in confronto agli altri campioni. Tale tabella viene poi usata per calcolare la posizione media di ogni pilota usata per stilare la classifica finale.
Premesse fondamentali
Da sottolineare che l’analisi si basa sulle seguenti tre assunzioni:
Nella tabella seguente sono riportate le valutazioni di ogni singolo pilota (sulle colonne) rispetto ad ogni singolo skill (sulle righe).
Skill | PRO | MAN | SEN | MSC | HKK | HIL | VIL | BUT | RAI | ALO | HAM | VET | ROS | VER |
Raw Speed | 2 | 1 | 1 | 1 | 2 | 4 | 4 | 3 | 1 | 1 | 1 | 2 | 3 | 1 |
Optimal Speed | 1 | 2 | 1 | 1 | 1 | 3 | 3 | 3 | 1 | 2 | 1 | 1 | 1 | 1 |
Race Pace | 1 | 3 | 2 | 1 | 2 | 4 | 4 | 2 | 1 | 1 | 1 | 1 | 2 | 1 |
Race Craft | 3 | 1 | 1 | 1 | 2 | 4 | 3 | 2 | 1 | 1 | 1 | 1 | 3 | 1 |
Wet | 4 | 2 | 1 | 1 | 2 | 3 | 4 | 2 | 1 | 2 | 1 | 1 | 3 | 1 |
Adaptability on Changing Condition | 2 | 1 | 1 | 1 | 3 | 5 | 4 | 2 | 1 | 1 | 1 | 1 | 3 | 1 |
Tyre Management | 1 | 4 | 3 | 1 | 3 | 2 | 4 | 1 | 1 | 2 | 1 | 1 | 2 | 1 |
Error Trend | 1 | 4 | 2 | 1 | 2 | 2 | 3 | 2 | 1 | 2 | 1 | 1 | 2 | 1 |
Strategy | 1 | 4 | 2 | 1 | 2 | 2 | 3 | 1 | 1 | 1 | 1 | 1 | 2 | 1 |
Concreteness | 1 | 4 | 2 | 1 | 2 | 3 | 3 | 2 | 1 | 1 | 1 | 1 | 2 | 1 |
Overseason Improvement | 1 | 2 | 2 | 1 | 2 | 2 | 2 | 1 | 1 | 2 | 1 | 1 | 1 | 1 |
Technical Skill | 1 | 3 | 1 | 1 | 2 | 2 | 2 | 2 | 1 | 2 | 1 | 1 | 1 | 1 |
Leadership | 1 | 3 | 1 | 1 | 2 | 2 | 2 | 2 | 3 | 1 | 1 | 1 | 2 | 1 |
Average | 1,538 | 2,615 | 1,538 | 1,0000 | 2,077 | 2,923 | 3,153 | 1,923 | 1,1538 | 1,461 | 1,000 | 1,077 | 2,077 | 1,000 |
Di seguito una dettagliata discussione skill per skill.
Poche sorprese sulla capacità di essere veloci subito, in modo istintivo. Sotto questo punto di vista primeggiano Senna, Mansell, Schumacher, Raikkonen, Alonso, Hamilton e Verstappen. Vettel è subito alle spalle, considerando anche la testimonianza diretta del tedesco quando ha affermato che, rispetto a Kimi, lui aveva bisogno di qualche giro in più per trovare il limite.
Si sottolinea la posizione di Rosberg, che pur velocissimo in termini assoluti (non sono poche le volte in cui ha battuto a parità di macchina un mostro sacro della qualifica come Hamilton), ha sempre necessitato di più tempo per trovare la prestazione assoluta.
Non dovrebbero invece sorprendere le posizioni in fondo alla classifica di Hill e Villeneuve, piloti ovviamente velocissimi ma sicuramente un gradino al di sotto degli altri campioni analizzati.
Rispetto alla raw speed, si osserva che Prost, Hakkinen, Vettel e Rosberg fanno dei salti in avanti e raggiungono i primissimi della classifica. Mentre nel caso di Vettel il tutto è abbastanza evidente (il tedesco era maestro assoluto nello sparare il giro perfetto una volta sistemata la vettura a suo piacimento), gli altri potrebbero sembrare sopravvalutati. Vediamoli uno ad uno.
Quando tutto era perfetto, Prost era in grado di fare dei giri difficilmente battibili anche per un Mago della Pole quale Ayrton Senna: a tal proposito Joe Ramirez, storico direttore McLaren, era solito sottolineare che quando Prost riusciva ad avere la monoposto come piaceva a lui, aveva una velocità imbattibile. Nel caso di Hakkinen e Rosberg emergono numeri assoluti notevoli (rispettivamente 26 e 30 pole position totali, che collocano i due piloti all’ottavo ed all’undicesimo posto all-time), ma anche numeri relativi di tutto rispetto dati dal confronto con compagni scomodissimi quali Ayrton Senna e Lewis Hamilton: indimenticabile Hakkinen nel 1993 in Portogallo quando, arrugginito da mesi di inattività, esordì in McLaren stampando un giro monstre in qualifica, migliore di quello di un incredulo (ed incazzato) Ayrton Senna suo compagno di squadra. Prestazione quasi bissata il gran premio successivo in Giappone dove, su uno dei circuiti più impegnativi in assoluto (Suzuka), il finlandese si qualificò in terza posizione assoluta ad appena 42 millesimi dal ben più quotato compagno di squadra.
A livello di ritmo gara a farla da padrone è ovviamente Michael Schumacher con prestazioni che in pochi hanno avvicinato nella storia della Formula 1. Fra questi, il Professore Prost che quando era assolutamente necessario alzare il ritmo sapeva essere velocissimo, e Max Verstappen che ricorda davvero da vicino il tedesco in quanto a capacità di mantenere ritmi elevatissimi durante l’arco di tutta la gara. A livello top anche Lewis Hamilton (come dimostrato anche dall’ultimo Gran Premio del Messico), Sebastian Vettel (capace di imprimere subito un ritmo infernale alla sua corsa), e l’irriducibile Fernando Alonso. Meno ovvio è il nome di Kimi Raikkonen al top in quanto a passo gara. I numeri puri supportano questa valutazione, dove il finlandese ha ottenuto un totale di 46 giri veloci in carriera, che ne fanno il terzo di tutti i tempi dietro ai due piloti 7 volte campioni del mondo, Schumacher ed Hamilton. È inoltre il recordman, insieme a Schumacher, per numero di giri veloci ottenuti in una singola stagione, per la precisione 10 segnati sia nella stagione 2008 che nel 2005.
Senna appena dietro i nomi di cui sopra potrebbe apparire strano, ma il confronto diretto con Alain Prost negli anni in McLaren ed alcuni numeri nudi e crudi hanno indirizzato tale scelta: infatti, a fronte delle 65 pole position del brasiliano, contro le 33 di Prost, Ayrton ha fatto segnare “appena” 19 giri più veloci, contro i 41 di Alain, a dimostrazione di una capacità maggiore del francese di gestire il ritmo gara e di essere globalmente più efficiente la domenica.
Menzione speciale in quanto a duelli ruota a ruota per il Leon di Inghilterra Nigel Mansell, assolutamente imprevedibile nelle sue manovre di sorpasso, temutissimo persino da Senna sotto questo aspetto. Fra gli altri magistrali interpreti identifichiamo Senna, Schumacher, Alonso, Raikkonen, Hamilton, Vettel e Verstappen. Alcuni generosi ed aggressivi, come per esempio Senna, Mansell, Schumacher e Verstappen. Altri invece dotati di maggiore classe, come Hamilton, Vettel e Raikkonen. Infine, Alonso viaggia in una categoria a parte essendo un mix delle due caratteristiche.
La scelta di Vettel al top merita qualche considerazione aggiuntiva, in quanto in tanti possono ritenere questa valutazione troppo generosa. Non bisogna però dimenticare che il tedesco ha vinto tante battaglie in pista, contro piloti fortissimi quali Hamilton ed Alonso, ed è stato autore di diverse rimonte da urlo come durante il Gran Premio del Brasile 2012 quando si laureò campione per la terza volta consecutiva, grazie agli innumerevoli sorpassi compiuti nonostante una monoposto non in perfette condizioni.
Nota negativa, l’ennesima, è Damon Hill, bravo quando si trattava di correre da solo ma sicuramente diverse spanne sotto gli altri quando si trattava di dover lottare ruota a ruota.
Ovviamente Senna, Schumacher, Hamilton, Vettel e Verstappen degni interpreti del ruolo di Mago della Pioggia. Accanto a loro, ancora una volta si inserisce Kimi Raikkonen, con una serie di corse e manovre sul bagnato di livello assoluto. Potrebbero essere infatti citate tante gare in McLaren o in Ferrari, oppure il Gran Premio del Portogallo del 2020 quando, con una modesta Alfa su una pista resa scivolosa da una leggera pioggerellina, fu in grado di guadagnare ben 10 posizioni nell’arco del primo giro ricordando il leggendario opening lap di Ayrton Senna sul circuito di Donington nel 1993.
Di segno contrario invece la valutazione del Professor Prost, famoso per la sua guida “prudente” nel caso di condizioni di pista bagnata, tanto che i tifosi brasiliani gli affibbiarono il non affettuosissimo nomignolo di O Cauteloso. Tale avversione per il bagnato e’ conseguenza diretta del bruttissimo incidente durante le libere del gran premio di Germania del 1982, che vide Prost protagonista insieme all’altro francese, il ferrarista Didier Pironi: sotto una pioggia battente, Pironi centra in pieno la Renault gialla del connazionale Prost e le gravi fratture riportate mettono fine anzitempo alla sua carriera in Formula 1.
L’abilita del pilota di adattarsi a condizioni e situazioni mutevoli, vede avvantaggiarsi i piloti dotati di maggiore velocita istintiva, visto che in genere riescono a trovare più velocemente il limite di una monoposto che cambia le sue performance in base al carico di benzina, all’usura gomme, o alle mutate condizioni climatiche. I migliori interpreti sono stati individuati in Senna, Mansell, Schumacher, Raikkonen, Alonso, Hamilton, Vettel e Verstappen. Subito dietro, Prost e Button (a proposito, più si fanno analisi, e più si evidenziano grandi similitudini fra i due). Piu in difficolta Nico Rosberg e Mika Hakkinen, quest’ultimo proprio per la sua minore velocità nell’adattarsi a condizioni mutabili, perse terreno nei confronti di Michael Schumacher nella decisiva gara di Suzuka 2000 che assegnò il primo titolo in rosso al tedesco. Fanalini di coda gli ormai soliti Jacques Villeneuve e Damon Hill.
Quando si parla di gestione gomme, probabilmente il masterpiece assoluto è opera di Alain Prost (non a caso Professore) durante il weekend del Gran Premio del Messico del 1990. Il francese, sulla splendida Ferrari 641 di Enrique Scalabroni, risultò lento durante tutte le sessioni di prove libere ed ufficiali, tanto da qualificarsi solamente in tredicesima posizione. In realtà il francese stava capendo il limite e la resistenza delle gomme, e fece un setting sulla macchina per avere poi molta più performance in gara. Cosa che accadde puntualmente la domenica quando il Professore, con una rimonta al cardiopalma, fu in grado di vincere la gara facendo anche segnare giri più veloci anche rispetto a quanto fatto in qualifica. Forse l’impresa più incredibile del Prof.
Altri maestri nella gestione gomme sono Schumacher, Raikkonen, Hamilton e Vettel, a cui vanno aggiunti Max Verstappen, il cui confronto con uno specialista della gestione gomme quale è Sergio Perez mostra il livello di eccellenza raggiunto dall’olandese, ed il sempre “poco evidente” Jenson Button che ha costruito sulla gestione gomme (e la visione gara) alcune delle sue vittorie più importanti.
Ayrton Senna è invece lontano dai primissimi, considerando anche che spesso il brasiliano è stato in difficolta in questo senso rispetto al compagno di squadra Prost. Ancora una volta il già citato confronto dei giri più veloci in gara fra i due è illuminante in tal senso, ed è segno della minor capacità di Senna di preservare gli pneumatici e mantenerli efficienti nell’arco dell’intera gara.
Nella capacità di minimizzare gli errori, si segnalano i soliti Prost, Schumacher, Raikkonen ed Hamilton. A cui si affiancano i nomi di Vettel e Verstappen, che potrebbero sembrare ingiustificati considerando i ricorrenti testacoda del tedesco negli ultimi 2 anni a Maranello, o i vistosi errori di Max nei suoi primi anni. Come specificato però all’inizio di questa analisi, i piloti vengono valutati considerando il periodo di loro massimo splendore. Ed il Sebastian Vettel dei titoli Red Bull era assolutamente una macchina da guerra che raramente commetteva errori, così come Verstappen che da quasi tre anni ormai non sbaglia una virgola. Il record di vittorie consecutive ottenute, fatto segnare prima da Sebastian e poi ulteriormente migliorato da Verstappen, è una metrica oggettiva che misura la capacità di questi due piloti di minimizzare gli errori commessi.
Il mago Ayrton Senna invece non brilla sotto questa voce, essendosi reso a volte protagonista di alcuni evitabili errori. Su tutti, Monaco 1988 quando abbondantemente in testa andò a sbattere da solo. Oppure Monza 1988 quando fu costretto al ritiro per un contatto con il doppiato Schlesser (che aprirà le porte all’unica vittoria Ferrari di quell’anno, proprio all’indomani della scomparsa del Drake, ma questa è un’altra storia). Errori forse figli dell’essenza del pilota brasiliano, tanto bene riassunta dalla sua stessa iconica frase, un cult per tante generazioni di piloti: “if you don’t longer go for a gap, you are not longer a racing driver”, ovvero “se non entri più in uno spazio davanti, allora non sei più un pilota di corse”.
Qualche considerazione ulteriore su Schumacher ed Hamilton. Spesso Michael è stato accusato di commettere troppi errori, ma risulta davvero difficile non mettere al top in tal senso un pilota che ha vinto 7 campionati del mondo, ha portato a casa 91 vittorie e che a fine campionato (anche con auto non al top) era sempre nei piani altissimi della classifica generale. Considerazioni simili per Lewis Hamilton, per numeri assoluti e tenendo in considerazione il fatto che questa analisi è incentrata sul prime di un pilota, e dunque tende ad escludere alcuni anni in McLaren, quando oggettivamente Lewis si rese protagonista di alcuni errori marchiani. Ovviamente, tale osservazione vale anche per Sebastian Vettel: a parte alcuni errori di inesperienza durante i suoi primissimi anni in F1, oppure i bruttissimi e ripetuti testacoda durante la parte finale della sua avventura in Ferrari, il tedesco è stato campione di costanza nei suoi anni d’oro.
Facile infine notare la posizione verso il fondo della classifica del Leone Nigel Mansell, che era capace di andare fortissimo ma a volte commetteva errori di una ingenuità disarmante.
Il già citato Gran Premio del Messico 1990, mostra un Professor Prost al top in quanto a capacità strategiche. Abbastanza facile mettere Michael Schumacher accanto al francese, insieme a Verstappen e ad Alonso, entrambi capaci di elaborare strategie per il proprio compagno di squadra mentre sono impegnati in gara. Al top anche i soliti Vettel ed Hamilton, ed i meno “evidenti” Jenson Button, maestro assoluto nel vincere gare imprevedibili, e Kimi Raikkonen magistrale interprete degli overcut e nel prolungare la vita degli pneumatici proprio in funzione strategica.
Come facilmente prevedibile il Leone Nigel Mansell si posiziona in fondo, mentre tutti i restanti piloti si classificano immediatamente a ridosso dei top.
Svetta ancora Alain Prost, maestro nell’imprimere un ritmo top nei momenti topici della gara, come dimostrato da un altro confronto significativo con Ayrton Senna: a fronte di un minor numero di giri totali in testa rispetto ad Ayrton (2683 a 2931), Alain vanta un totale di 10 vittorie in più. Altro magistrale interprete di questa qualità è stato Jenson Button capace, nel triennio in McLaren passato accanto a Lewis Hamilton, di totalizzare complessivamente più punti del plurititolato inglese, ad ulteriore dimostrazione delle similitudini fra Button e Prost. Due piloti caratterizzati da un modo di correre poco spettacolare ma altamente redditizio: difficilmente guardandoli dall’esterno sembravano essere veloci, ma poi vedendo i numeri concreti, i confronti con compagni di squadra assolutamente top, ci si rende conto della forza di questi due grandi interpreti della Formula 1.
Ovviamente in termini di concretezza, al top si segnalano Schumacher, Hamilton e Verstappen. Ai primi posti anche Vettel, che quando c’era da dare tutto per vincere era sempre in grado di concretizzare, e Raikkonen, sempre in grado di alzare il ritmo senza commettere errori quando si trovava a lottare per la vittoria.
Controversa potrebbe apparire la posizione di Alonso: un mastino nel portare a casa il risultato, che però purtroppo in alcune circostanze è parso “evaporare”. Ad esempio, ad Abu Dhabi 2010 è sembrato evanescente, così come durante il finale di stagione 2012 dove è apparso non in grado di alzare l’asticella delle prestazioni proprio nel momento topico per la lotta al titolo. A supporto di quanto affermato, il confronto col compagno di squadra Massa: il brasiliano, sempre lontano dalle prestazioni dello spagnolo, fu stranamente vicino ad Alonso nelle ultime gare di quell’anno. Tali osservazioni piazzano lo spagnolo appena gradino sotto ai piloti sopra menzionati.
Di nuovo non brillantissima la posizione di Mansell, che in generale può essere visto come un pilota dalle caratteristiche opposte rispetto a piloti come Prost e Button.
È stato sopra ricordato il caso di Alonso durante il finale di stagione del 2012, dove è sembrato plafonarsi rispetto alle prestazioni esibite fino a metà stagione. Tendenza stranamente osservabile anche durante il campionato in corso, dove la Aston Martin dello spagnolo sta concludendo la stagione in tono decisamente calante con Stroll che si è avvicinato enormemente alle prestazioni di Nando. In contrasto, altri piloti sembrano distinguersi per migliorare costantemente le proprie prestazioni durante l’anno: nelle ultime due stagioni, in confronto ai loro rispettivi compagni di squadra, Lewis Hamilton e Max Verstappen sono riusciti ad incrementare notevolmente le proprie performance: basti osservare le prime gare degli ultimi due campionati, quando Perez era competitivo quanto ed a volte più di Verstappen, prima che quest’ultimo mettesse un abisso fra le sue prestazioni e quelle del compagno.
Tale capacità è conseguenza di etica del lavoro e capacità di leadership eccellenti. Da notare che tutti i piloti in esame ottengono valutazioni altissime. Non a caso sono, appunto, dei campioni del mondo.
Solo qualche parola aggiuntiva su Alonso non in primissima posizione, per questa sua tendenza già evidenziata nello stagnare le prestazioni durante parte finale della stagione.
Senna e Prost ai loro tempi erano considerati dei maghi dell’assetto, in grado di trasformare monoposto capricciose in macchine da guerra. Famoso in tal senso è l’aneddoto raccontato da Gerhard Berger sulla sensibilità tecnica di Senna: l’austriaco, da poco giunto in McLaren accanto al campione brasiliano, rimase esterrefatto nell’ascoltare Ayrton parlare con i tecnici Honda e sostenere che il motore spingeva di più nelle curve a sinistra rispetto alle curve a destra!
In tal senso sono tanti i campioni del mondo che si confermato al top: ad esempio Schumacher e Vettel, famosi per il loro assoluto impegno durante le riunioni tecniche. Oppure Hamilton e Rosberg, con quest’ultimo riconosciuto maestro della messa a punto. Si distingue anche Max Verstappen che, come testimoniato da Ricciardo durante gli anni di convivenza con Max in RedBull, conosce pezzi e dispositivi della monoposto completamente sconosciuti all’australiano. Infine, in base alle testimonianze degli ingegneri e dei tecnici delle squadre in cui ha lavorato, Kimi Raikkonen risulta essere preciso e diretto nelle indicazioni di ciò di cui aveva bisogno per andare forte: famosi in tal senso sono gli infiniti sistemi di servoguida che il finlandese ha preteso dalla Lotus nel 2012, fino ad ottenere il dispositivo che si adattava perfettamente alle sue esigenze.
Anche sotto questo punto di vista tutti gli altri piloti si distinguono in positivo, posizionandosi subito a ridosso dei top, a parte la nota negativa di Nigel Mansell che tipicamente brilla poco quando si tratta di talenti non strettamente legati alla guida pura.
Quasi tutti i piloti esaminati ottengono risultati di assoluto rilievo in termini di capacità di vestire i panni del leader. I primi della lista sono ovviamente Schumacher, Verstappen, Prost, Senna, Hamilton e Vettel, capaci di portare la squadra nelle direzioni da loro volute. Alonso invece è subito a ridosso dei primi, e paga alcuni aspetti caratteriali forse non più presenti in queste ultime stagioni.
All’ultimo posto insieme a Nigel Mansell si posiziona Kimi Raikkonen. Entrambi avrebbero ottenuto sicuramente di più in carriera se avessero avuto una maggiore predisposizione ad imporsi all’interno della squadra.
La seguente tabella mostra la classifica finale, che scaturisce dalla posizione media di ogni pilota rispetto ad ogni skill.
Position | Driver | Score |
1 | Michael Schumacher | 1 |
Lewis Hamilton | 1 | |
Max Verstappen | 1 | |
4 | Sebastian Vettel | 1,076923 |
5 | Kimi Raikkonen | 1,153846154 |
6 | Fernando Alonso | 1,461538 |
7 | Alain Prost | 1,538461538 |
Ayrton Senna | 1,538461538 | |
9 | Jenson Button | 1,923076923 |
10 | Nico Risberg | 2,076923077 |
Mika Hakkinen | 2,076923077 | |
12 | Nigel Mansell | 2,615384615 |
13 | Daemon Hill | 2,923076923 |
14 | Jacque Villeneuve | 3,153846154 |
Prima di passare ad analizzare posizione per posizione, si evidenzia che in base allo score totalizzato dai piloti, la classifica può essere suddivisa in 5 categorie di appartenenza.
Ogni categoria sembra definire una sorta di meta-posizione, che include piloti dalle abilità complessivamente simili, ed è probabile che classifiche diverse risultanti da giudici diversi possano modificare la posizione all’interno di una stessa categoria. Più difficile invece che un pilota da una categoria ad un’altra. In altre parole, una diversa classifica potrebbe mostrare Hakkinen davanti a Button (stessa categoria), ma difficilmente con altri giudici il finlandese passerebbe in seconda categoria.
Al primissimo posto, con tutte valutazioni top e dunque primo posto posizione media, si classificano King Michael Schumacher, The Hammer Lewis Hamilton e Super Max Verstappen.
I primi due nomi sono oggettivamente difficili da contestare, per risultati in termini numerici e per prestazioni monstre fornite durante l’arco delle loro lunghe carriere. Non a caso sono gli unici due piloti della storia ad essersi laureati sette volte Campioni del Mondo.
King Michael Schumacher, veloce in prova, velocissimo in gara, magico sotto la pioggia, fortissimo nel corpo a corpo, mai domo, grandissimo uomo squadra. Da non dimenticare che Michael è riuscito nella difficilissima impresa di diventare campione del mondo Ferrari, e soprattutto di non farsi annientare dalla Scuderia. Laddove campionissimi quali Alain Prost, Kimi Raikkonen (nonostante la conquistata del titolo al primo colpo), Fernando Alonso, e Sebastian Vettel sono usciti stritolati dall’ambiente di Maranello – con Charles Leclerc che sembra stia vivendo una esperienza simile – il tedesco invece è stato capace di aspettare e resistere a Maranello ben cinque stagioni prima di inanellare la lunga serie di 5 titoli iridati consecutivi. A conferma di un Michael campione non solo in pista, ma anche nel creare una squadra unita ed indistruttibile.
Ultima nota importante, che sarà ripresa a breve: per le sue prestazioni a volte ai limiti della fisica, il tedesco è stato diverse volte accusato di avere una monoposto irregolare (soprattutto negli anni in Benetton), o comunque migliore rispetto a quella del compagno di squadra. Questo discorso sarà ripreso più avanti.
Hammer Lewis Hamilton, onestamente non il preferito del sottoscritto. Ma è innegabile che un risultato diverso dal gradino più alto del podio è difficile da immaginare per l’inglese. Ovviamente le statistiche sono tutte dalla sua parte, ma ci sono anche altre argomentazioni altrettanto forti, come le sue prestazioni monstre in GP2, tanto da far nascere il sospetto che corresse con una monoposto irregolare. Addirittura, a seguito di una gara in GP2 totalmente dominata dall’inglese, i commissari decisero di smontare ed analizzare la sua macchina pezzo per pezzo. Salvo poi non trovare alcunché di irregolare. Come già detto per Schumacher, questo discorso sulla regolarità della macchina sarà ripreso in seguito.
Se gli altri due piloti al primo posto possono essere difficilmente contestati, molto diverso è il discorso riguardante Super Max Verstappen: è probabile che la sua prima posizione, al fianco dei mostri sacri della categoria, susciterà reazioni contrastanti soprattutto ai numerosissimi haters dell’olandese. Ovviamente la prima posizione è opinabile, ma è innegabile che l’olandese – dati oggettivi alla mano – difficilmente può collocarsi troppo distante dal primo posto. Personalmente, ho difficoltà a ricordare un altro pilota fare in macchina le cose che fa Max, con la continuità con cui le fa Max. L’olandese è dotato di sensibilità di guida che sembrano messianiche, a cui va aggiunta una cultura tecnica di prim’ordine, la lucidità nei momenti topici, la tenacia di chi non molla mai, ed il fatto che da più di due ormai non commette più la minima sbavatura.
Da ricordare che già prima dell’esordio in F1 gli addetti ai lavori erano soliti dire che Verstappen fosse “il nuovo Senna”, anche se da una analisi approfondita l’olandese sembra essere più l’erede diretto di Schumacher: per ferocia, cattiveria agonistica, tenacia, per la tendenza a schiacciare i compagni di squadra e, soprattutto, per le sue capacita in gara più che in qualifica, Max ricorda più il tedesco che il brasiliano.
A proposito delle prestazioni sbalorditive dell’olandese, anche su Max Verstappen aleggiano tanti sospetti circa la regolarità della sua monoposto, come sottolineato anche per Schumacher ed Hamilton. Nel caso di Max, in tanti lasciano anche intendere che la Red Bull fornisca a lui una monoposto diversa, e molto più competitiva, rispetto a quella a disposizione di Sergio Perez.
Interessante è dunque notare che i tre piloti che condividono il primo posto in questa analisi, sono anche gli unici tre su cui aleggiano sospetti circa favoritismi ed irregolarità. Tale fenomeno in realtà è una diretta dimostrazione dal valore fuori categoria dei tre, che spesso sono stati in grado di esibire prestazioni di un livello fuori dalla portata di tutti gli altri. Tale argomentazione va a supporto della solidità dell’analisi qui condotta, considerando che la classifica finale vede appunto i tre condividere la prima posizione generale.
Golden Boy Sebastian Vettel è appena alle spalle dei tre piloti che occupano il primo posto. Anche per il tedesco c’è in realtà poco da dire, considerando la sua strepitosa carriera. Purtroppo, Sebastian è accompagnato dal sospetto che le sue vittorie siano solo il frutto del genio di Adrian Newey. Tale sospetto non rende giustizia alle capacità di prim’ordine esibite dal tedesco già durante i suoi primissimi passi in Formula 1: Sebastian esordisce nel 2007, come sostituto dell’infortunato Robert Kubica, a 19 anni a bordo di una sul circuito di Indianapolis, dove ottiene subito i suoi primi punti iridati concludendo la gara in ottava posizione. Prestazione che lo fece diventare, prima dell’avvento di Max Verstappen, il pilota più giovane ad aver mai segnato un punto iridato. L’anno successivo Seb va in Toro Rosso, e porta a casa la prima storica vittoria per la scuderia di Faenza, diventando anche il più giovane vincitore di un gran premio di F1 (di nuovo, prima che Max gli rubi anche questo primato). Vittoria scaturita da una prestazione superba, e non frutto di circostanze fortuite o ritiri altrui. Sebastian fu infatti il dominatore incontrastato dell’intero weekend caratterizzato da forte pioggia: Seb fece segnare la pole position, e conducesse la gara senza commettere la minima sbavatura. La vittoria in Toro Rosso è da sola sufficiente a smentire la leggenda secondo la quale Sebastian era in grado di vincere solo con vetture dominanti, o progettate da Adrian Newey. Leggenda probabilmente nata a seguito del dominio nei campionati del 2011 e del 2013, ed alimentata da certa tifoseria ferrarista ed inglese. In realtà quel dominio, simile a quanto sta attualmente accadendo con Max Verstappen, è figlio della particolare capacità di Vettel di essere davvero devastante quando riesce a sentirsi tutt’uno con la monoposto: le Red Bull di quegli anni erano sicuramente le migliori monoposto della griglia, ma erano a disposizione anche di Mark Webber, che non era propriamente un “fermo” (chiedere a Nico Rosberg, per conferma). Ebbene il confronto diretto fra Seb e Mark recita 11 vittorie a 1 nel 2011, ed addirittura 13 a 0 nel 2013. Un dominio totale rispetto al compagno, che invece diventa meno evidente nelle pur ottime annate del 2010 e 2012, quando però la RedBull era meno “marziana”. Di nuovo ad evidenziare che Vettel era in grado di offrire prestazioni inaccessibili, in quanto a velocità e consistenza, quando aveva a disposizione una monoposto perfetta. In totale, il confronto fra i due recita uno schiacciante 38 vittorie a 9, segno di un dominio che solo i grandi campioni riescono ad imporre nei confronti dei compagni di squadra.
Da non sottovalutare anche gli anni di Seb in Ferrari, quando ha lottato contro una imbattibile Mercedes, dove si è distinto per capacità di leadership di rilievo. E dove, fino forse al disgraziato Gran Premio di Germania 2018, non ha mai avuto alcun timore reverenziale nei confronti di Lewis Hamilton.
In base a quanto sopra riportato, Sebastian sembra meritare ampiamente la posizione ottenuta, frutto di prestazioni che durante gli anni d’oro hanno mostrato un pilota praticamente privo di debolezze.
Facile prevedere critiche relative al quinto posto di Iceman Kimi Raikkonen. Il finlandese, che ha sempre diviso il pubblico fra chi lo idolatrava e chi ne sminuiva anche le più grandi gesta, si posiziona dunque davanti a nomi più blasonati e vincenti. Questo risultato, che può sembrare inatteso, in realtà si spiega facilmente con una delle premesse di questa analisi, che prende in considerazione le performance che i piloti hanno esibito durante i loro periodi migliori. Se si analizzano da vicino le stagioni che vanno dal suo esordio, fino al mondiale vinto nel 2007, o l’incredibile biennio 2012/2013 in Lotus (senza dimenticare alcune zampate incredibili, come la vittoria a Spa nel 2009 con una delle peggiori Ferrarti di sempre, oppure le pole a Montecarlo e Monza durante la sua seconda avventura in Ferrari), Raikkonen ha mostrato performance che hanno rasentato l’eccellenza.
Tali capacità gli consentirono, nel 2003 di lottare fino alla fine per il mondiale, che perse per soli due punti a favore di un certo Michael Schumacher. Quell’anno era appena la sua terza stagione in Formula 1, e la prima con a disposizione una monoposto competitiva. Ma comunque lontana dalle migliori di quell’anno, considerando che oltre la Ferrari, anche la Williams di Juan Pablo Montoya e Ralf Schumacher era complessivamente ben più performante della sua McLaren. Nel 2005 invece aveva probabilmente a disposizione la monoposto più prestazionale, ma purtroppo era soggetta a frequenti rotture. Forse è stato con quella monoposto che Kimi impressionato di più, costantemente esibendo una velocita stratosferica, che per alcuni era ineguagliata, tanto da spingere Stirling Moss ad affermare che “Francamente parlando, Kimi è il pilota più veloce del mondo”. Accanto a questa enorme velocità pura, il finlandese era capace di martellare in gara a suon di giri più veloci senza compiere il minimo errore. Caratteristica prepotentemente mostrata nel corso del Gran Premio del Giappone 2005 quando a Suzuka, partendo dalla diciottesima posizione, fu in grado di vincere grazie ad uno spettacolare sorpasso all’ultimo giro all’esterno ai danni di Giancarlo Fisichella sulla Renault che si sarebbe poi fregiata del titolo iridato costruttori (e piloti, con Fernando Alonso).
Anche la vittoria del mondiale nel 2007, al primo colpo in Ferrari, è un evento di assoluto rilievo. Soprattutto considerando che è l’unico pilota ad esserci riuscito dal 1980 ad oggi insieme a Michael Schumacher.
Speculando, Kimi avrebbe potuto portare a casa altri mondiali (con riferimento al 2003, 2005 o 2008) senza aver rubato assolutamente nulla.
Accanto a queste considerazioni, ci sono le qualità secche del pilota. Kimi ha sempre avuto una incredibile velocita naturale (una volta Schumacher, guardando la sua telemetria, affermò che “solo Kimi può fare certe cose”), freddezza nei momenti topici, capacità nel corpo a corpo di prim’ordine (il sorpasso all’esterno con precisione chirurgica è uno dei suoi marchi di fabbrica). Il tutto sempre ben dimostrato sulla pista di Spa Francorchamps, considerata l’Università dei Piloti, dove non a caso Kimi è soprannominato “The King of Spa”.
In conclusione la quinta posizione di Kimi dovrebbe adesso apparire meno inaspettata.
Al sesto posto troviamo il Re delle Asturie, Fernando Alonso. Pilota entrato nel cuore dei tifosi ferraristi, per la sua caratteristica di essere un guerriero mai domo.
Lo spagnolo ha qualità di prim’ordine, che lo rendono uno dei piloti più abili mai visti in pista: nel corpo a corpo è formidabile (il duello con Sergio Perez all’ultimo giro del Gran Premio del Brasile appena concluso è da cineteca delle corse), così come nella capacità di andare subito fortissimo, nella lettura della gara e nell’abilità di trovarsi al posto giusto nel momento giusto. In altre caratteristiche, pur non essendo il numero 1, è subito a ridosso dei primissimi. Ad esempio, pur essendo dotato di tanta una velocità naturale, è un gradino sotto Hamilton in tal senso. Discorso simile sul passo gara, dove è un vero mastino, ma non ha la capacità di Schumacher nel tenere ritmi da qualifica in gara. Tale aspetto è supportato dall’analisi oggettiva dei giri veloci in gara, dove si può intravedere qualche similitudine con Senna: anche Alonso, come il brasiliano infatti, ha in cascina relativamente “pochi” giri più veloci in gara (24 in totale), abbondantemente dietro a Kimi Raikkonen per esempio. Sul bagnato ha sempre reso molto bene, ma non è mai stato un Mago della Pioggia come Senna o Schumacher. Discorso simile sul fronte della leadership, dove paga alcuni aspetti caratteriali controversi. Infine, si è già parlato del fatto che a volte lo spagnolo sembra fornire prestazioni meno brillanti verso la parte finale della stagione, e forse non è un caso che ha perso dei mondiali durante le ultimissime gare.
Nel complesso Alonso è un grandissimo campione, sempre pronto a dare il massimo in qualsiasi situazione, condizione e per qualsiasi posizione sta lottando, fosse anche per l’ultimo posto. Se la valutazione fosse stata incentrata più sul rendimento medio nel corso degli anni, Alonso sarebbe più in alto in classifica (è davvero difficile trovare una stagione sottotono dello spagnolo), anche in virtù della sua capacità di “guidare sopra i problemi”. Speculando, si potrebbe pensare ad un Alonso superiore a Vettel in un immaginario scenario in cui i due dividessero una stessa monoposto non perfettamente messa a punto. Situazione che invece si ribalta prendendo in considerazione i picchi massimi di performance esprimibili (dunque a bordo di monoposto perfette).
Scendendo in settima posizione, ci si ritrova di fronte ad un magico segno del destino: troviamo infatti qui appaiati quelli che probabilmente sono i due rivali più famosi della storia della Formula 1, ovvero il Professore Alain Prost e Magic Ayrton Senna.
Entrambi pagano alcune specifiche debolezze rispetto a chi li precede in classifica: per Prost si tratta dei già evidenziati limiti nella guida sul bagnato, e nella lotta corpo a corpo. Senna paga invece le non eccellenti capacità in termini di gestione degli pneumatici, visione gara e concretezza.
La classifica di Senna e Prost fornisce l’opportunità di notare quanto la competitività dei piloti sia anche figlia dei tempi, nel senso che in generale le nuove generazioni tendono ad innalzare il livello delle prestazioni in diversi ambiti rispetto alle generazioni precedenti. Ad esempio, Niki Lauda inaugurò una nuova generazione di piloti più attenti ai dettagli tecnici, così come successivamente Michael Schumacher innalzò decisamente il livello della forma fisica richiesta ai piloti. Speculando, quindi, si può immaginare che se Senna e Prost corressero oggi sarebbero in grado, grazie agli odierni mezzi e metodi, di limare alcuni dei gap che pagano nei confronti dei piloti odierni (esempio, Senna sulla gestione gomme e strategia). Di conseguenza è molto probabile che se corressero oggi sarebbero entrambi nella stessa categoria di Vettel e Raikkonen, e dunque subito a ridotto dei 3 delle meraviglie.
In generale Prost e Senna sono stati l’uno il complemento dell’altro: il brasiliano dotato di numeri, velocità pura, fantasia e determinazione non alla portata di Prost. A sua volta il francese aveva un rendimento complessivamente migliore. Tale affermazione è corroborata dai dati che vengono fuori analizzando il biennio 1988/1989 che i due hanno trascorso insieme come compagni di squadra in McLaren, quando infatti Alain ha conquistato più punti di Senna. Questo è accaduto non solo nel 1988, quando il francese ha vinto il titolo iridato, ma anche l’anno successivo, quando invece il titolo è andato ad Ayrton per l’assurdo regolamento che prevedeva lo scarto dei risultati peggiori (e questo ovviamente finì per favorire il meno costante Ayrton).
Interessante analizzare invece il dato della velocità di Prost: in tanti oggi sono convinti che Alain fosse “lento” in qualifica, ma tale convinzione non è smentita dai fatti. Innanzitutto, il Prost dei primi anni era un pilota famoso proprio per la grande velocità, a scapito dell’acume tattico. Tanto che gli addetti ai lavori erano convinti che Alain non avrebbe mai potuto vincere un titolo mondiale. La coabitazione con Niki Lauda, da cui perse un mondiale per mezzo punto nel 1984, gli insegnò l’importanza di essere veloci solo quando davvero necessario. La stagione in Ferrari accanto al velocissimo Nigel Mansell nel 1990 in Ferrari conferma ulteriormente la velocità di Prost: infatti, contro ogni pronostico, fu Alain a spuntarla nel testa a testa in qualifica.
Delle debolezze del Professore si è già tanto parlato (su tutte, la guida sul bagnato), mentre al contrario alcuni limiti mostrati da Senna durante la sua carriera passano spesso in secondo piano rispetto alle sue abilità. La prima caratteristica che viene in mente è la non perfetta concretezza e capacità di limitare gli errori da parte del brasiliano. Il Gran Premio di Monaco del 1988 è un caso eclatante sotto questo punto di vista, quando il brasiliano buttò via da solo una gara dominata (era in testa con ben 50 secondi di vantaggio sul compagno Prost) per un banale errore. Anche il Gran Premio di Italia di quello stesso anno fu negativo in tal senso: infatti Senna, di nuovo in testa alla gara, fu costretto al ritiro per un banale contatto con il doppiato Schlesser (che aprirà le porte all’unica vittoria Ferrari di quell’anno, proprio all’indomani della scomparsa del Drake. Ma questa è un’altra storia…). I due errori gli costeranno non solo la vittoria in gara, ma probabilmente anche la vittoria del campionato a fine anno. Questi episodi sono figli del suo modo spettacolare di intendere le corse, tanto bene riassunto durante una conferenza stampa quando affermò – testuale – “if you don’t longer go for a gap, you are not a racing driver”, ovvero “se non entri più in uno spazio davanti, allora non sei un più pilota di corse automobilistiche”.
Altro aspetto non al top del brasiliano è il passo gara, come testimoniato dai giri veloci in gare: infatti, a fronte dell’impressionante numero di 65 partenze al palo, Senna ha segnato “solamente” 19 giri più veloci. Dato che lo colloca a pari merito con Damon Hill e Mark Webber, e dietro persino a Gerhard Berger.
Al nono posto si piazza il Sir Jenson Button. Il Campione del Mondo 2009 è un’altra grande sorpresa di questa analisi. Sorpresa dovuta probabilmente al fatto che Jenson era un pilota poco spettacolare, a fronte invece di tanta concretezza in pista. Per lui parlano l’esordio stupefacente in Williams accanto a Ralf Schumacher nel 2000, ed ovviamente il mondiale vinto nel 2009 alla prima occasione in cui ha avuto un’auto davvero competitiva. Ma sono le stagioni in McLaren ed il confronto con campioni del calibro di Hamilton ed Alonso a consacrarlo fra i migliori di sempre. Nel dettaglio, durante la convivenza in McLaren con Hamilton, si verifica un netto dominio in qualifica di Lewis (40 a 18), ma con un sostanziale equilibrio in gara (32 a 26 sempre a favore di Lewis). Interessante è invece il confronto totale dei punti ottenuti, che vede proprio Jenson spuntarla con 672 punti contro i 657 di Lewis. A cui va aggiunta la chicca del secondo posto in campionato nel 2011 alle spalle di Sebastian Vettel. Con Alonso il confronto è più equo in qualifica (25 a 14 a favore di Nando), mentre in gara si è di nuovo in sostanziale equilibrio (18 a 16 per lo spagnolo). Nel 2015 Jenson conclude il campionato avanti a Fernando. In ultimo, in pochi ricordano la stagione sontuosa di Button nel 2004, quando con la BAR concluse al terzo posto in classifica generale dietro le imprendibili F2004 di Schumacher e Barrichello.
A parte i numeri, anche l’analisi puntuale delle qualità dà la dimensione di Button come pilota di tutto rispetto. Grande stratega, esempio di concretezza, bravissimo nella gestione delle gomme. Nella guida sul bagnato è quasi al livello dei primissimi della classe. Tutto ingredienti magistralmente utilizzati per portare a casa risultati importanti, soprattutto in caso di gare in condizioni imprevedibili, quando spesso Jenson arrivava primo al traguardo mentre sembrava spuntar fuori dal nulla.
Anche in questo caso il risultato dell’analisi sembra riflettere una certa oggettività, che anzi restituisce giustizia ad un pilota che viene citato raramente, ma che ha tutte qualità per essere nel gruppo dei migliori di sempre.
In decima posizione troviamo The Flying Finn Mika Hakkinen e Britney Nico Rosberg.
Per quanto riguarda Hakkinen, è noto che Schumacher l’ha sempre definito l’avversario più ostico che abbia mai incontrato in carriera. I due hanno incrociato i loro destini fin dalla gioventù, e si sono resi protagonisti di grandi duelli. Come quello famoso durante Gara-2 del Gran Premio di Macao del 1990, quando all’ultimo giro Hakkinen al secondo posto tampona il leader Schumacher che poi vai a vincere: il sospetto, ben fondato, è che Schumi abbia dato un colpetto ai freni ed abbia mandato Mika k.o.
Uno dei punti forti del finlandese è stata la velocita assoluta: basti ricordare che all’esordio in McLaren, nel 1993 in Portogallo a stagione ben inoltrata, stampò un tempo in qualifica più veloce di quello del compagno di squadra Senna. Episodio che sorprese il brasiliano, che non poteva credere che quel giovane finlandese avesse fatto un giro così veloce. Mika quasi replicò l’impresa alla gara successiva in Giappone, dove sul difficile circuito di Suzuka fece un tempo di soli 42 millesimi più lento rispetto ad Ayrton.
Altro punto di forza del finlandese era la capacità di compiere pochi errori: fermo restando alcuni inspiegabili errori, come i due commessi durante la stagione 1999 (a muro ad Imola, e frenata sbagliata alla chicane a Monza, episodio che lo vedi poi piangere in mondovisione), la guida del finlandese nei suoi anni d’oro era caratterizzata da una precisione chirurgica e fuori dal comune.
Di veri punti deboli Mika non ne aveva, ma non può essere messo a livello di altri piloti soprattutto in termini di capacita nel corpo a corpo (anche se fu autore dello strepitoso sorpasso ai danni di Michael Schumacher a Spa nel 2000), così come non era brillantissimo quando si trattava di dover subito impostare un ritmo elevato in caso di condizioni mutevoli: ad esempio a Suzuka nel 2000 faticò non poco per trovare il ritmo quando caddero alcune gocce d’acqua, al contrario di Schumacher che proprio durante quei momenti costruì un vanteggio fondamentale che gli consenti di aggiudicarsi gara e titolo del mondo.
Commento globale: anche Mika è un pilota spesso sottovalutato, e che difficilmente viene nominato quando si tratta di parlare dei migliori di sempre. Un’ultima osservazione che dà la misura della forza del finlandese: nel 2000, in estate dopo la gara del Belgio il finlandese sembrava prendere il largo in classifica rispetto a Schumacher, con l’inerzia tutta da parte sua. Il famoso sorpasso a tre, con Hakkinen che passa Schumacher e Zonta sul rettilineo del Kemmel, non fu solo uno dei sorpassi più belli della storia, ma in tanti ci videro un significato simbolico, una sorta di passaggio di consegne in testa alla classifica dei piloti più forti dell’epoca, con Mika che scavalcava Michael. La conseguente tensione potrebbe aver contribuito alle lacrime di Michael al successivo Gran Premio di Monza quando raggiunse Ayrton Senna a quota 41 vittorie. Michael, Ayrton, Mika: destino incrociato che lega 3 dei migliori piloti mai visti in pista.
A pari merito con Mika Hakkinen, un altro pilota di origini finlandesi (ma dal passaporto tedesco): Nico Rosberg. E così come il destino di Mika è indissolubilmente legato ad un 7 volte campione (Michael Schumacher) anche la carriera di Nico Rosberg non può prescindere dalla figura dell’altro 7 volte campione Lewis Hamilton. I due erano amici-rivali ai tempi del karting dove, insieme a Robert Kubica, erano i piloti più forti della loro generazione. Già a quei tempi si evidenziava una chiara tendenza: Hamilton era il talento più cristallino, quello che andava forte appena si sedeva sul kart. Nico era quello scientifico, che grazie ad un approccio metodico fatto di miglioramenti progressivi e di regolazioni raffinate, arrivava ad eguagliare (ed a volte superare) i tempi dell’inglese. Tendenza che si è vista anche in Formula 1, e che probabilmente è alla base del ritiro prematuro di Rosberg all’indomani della conquista del titolo 2016. Le immagini del post gara ad Abu Dhabi, dove si è laureato Campione del Mondo, mostrano un Nico felice, ma soprattutto svuotato, come se avesse dovuto attingere fino all’ultima goccia di energia per essere al passo del compagno più dotato naturalmente. Chiaro che Nico non avrebbe potuto reggere un’altra stagione così: ha dato tutto, ha vinto, si è ritirato. Non è da biasimare. E soprattutto ha terminato la carriera con dati statistici di tutto rispetto: parliamo infatti di un pilota in grado di vincere 23 Gran Premi, e con 30 pole position all’attivo. Numeri realizzati quasi totalmente accanto ad uno dei piloti più veloci di sempre, cosa che fornisce la giusta misura della forza di Nico, e che ulteriormente valida la sua posizione in questa classifica, dove è appena dietro a nomi di blasonatissimi contro cui ha dimostrato di sapersi difendere più che bene.
In dodicesima posizione uno dei piloti più amati dagli appassionati, ovvero il Leone Nigel Mansell. Un pilota che univa generosità e fantasia, capace di manovre spettacolari. Il Leon di Inghilterra in pista non aveva timore reverenziale nei confronti di nessuno: stupendi i suoi duelli con Ayrton Senna, o con l’acerrimo nemico Nelson Piquet. Mansell affrontava tutti a muso duro anche di fuori della pista. Famoso l’episodio post Gran Premo del Belgio 1987, quando Ayrton Senna durante un’intervista affermò che “Quando un uomo ti prende per il collo, non credo lo faccia per chiederti scusa”. L’uomo a cui si riferiva il brasiliano era proprio Nigel Mansell, buttato fuori in gara durante un tentativo di sorpasso a Pouhon. A fine gara l’inglese ammonì fortemente il brasiliano (“la prossima volta che combini una cosa del genere, dovrai fare un lavoro molto migliore”), ed arrivò a mettergli le mani al collo dopo avergli alzato la cerniera della tuta fino all’altezza del naso. Episodi di un Formula 1 lontana anni luce da quella attuale, forse più romantica. Sicuramente meno politically correct.
Tornando a fattori oggettivi, Mansell è ancora oggi uno dei piloti più vincenti di sempre, con all’attivo ben 31 vittorie (ottavo di tutti i tempi), e 32 pole position (settimo di sempre). Curioso il dato delle vittorie totali di tre dei quattro piloti (l’altro è Nelson Piquet) più rappresentativi degli anni 80: Prost a quota 51, Senna a quota 41 e Mansell a quota 31, scaglioni di 10 vittorie a voler quasi stabilire una classifica di “concretezza” fra i 3. Caratteristica questa che giustifica il posizionamento del Leone in questa speciale classifica: l’inglese a livello di guida pura non ha nulla da invidiare ai primissimi in classifica. Scende invece inesorabilmente verso le parti basse della classifica quando confrontato con i super top su aspetti extra guida: minor acume tattico, errori più frequenti, minore attenzione alle questioni tecniche, e meno predisposizione alla leadership. La classifica pare riflettere abbastanza fedelmente queste considerazioni, e riassume correttamente forze e limiti dell’inglese.
Al tredicesimo posto Demonio Collina, figlio del leggendario Graham Hill, al secolo Damon Hill.
Il buon Damon precede solo l’altro figlio d’arte, Jacques Villeneuve. Anche questa due posizioni sembrano validare la classifica finale, visto che le carriere di entrambi dimostrano chiaramente che sono i meno performanti rispetto ai 14 piloti analizzati.
La carriera di Damon è alquanto anacronistica: dopo l’infelice esperienza con una scarsamente competitiva Brabham, si ritrova quasi per caso sulla dominatrice Williams del 1993 (quella che ad oggi viene ancora considerata la vettura più avanzata e tecnologica di sempre) a fianco del Professor Alain Prost. Ovviamente fra i due non c’è stata partita, con il francese Campione del Mondo a fine anno ed Hill preceduto in classifica finale anche da Senna con una McLaren di gran lunga inferiore alla sua Williams.
Il confronto con Senna nei primi 3 Gran Premio (purtroppo solo tre…) del 1994 disputati è di nuovo a senso unico: in Brasile Hill paga ben 1 secondo e mezzo in qualifica nei confronti di Ayrton, mezzo secondo nel Gran Premio del Pacifico, e sei decimi ad Imola. Distacchi davvero notevoli, soprattutto se si tiene invece conto delle performance esibite da Mika Hakkinen a fine 1993 accanto allo stesso Ayrton. Dal punto di vista degli aspetti più squisitamente tecnici Hill paga, rispetto ai migliori, la sua minore velocita istintiva, le non eccelse capacità nel corpo a corpo, e la sua scarsa prontezza nell’adattarsi a condizioni mutevoli (anche se ha mostrato rari momenti di brillantezza, decisamente non sufficienti a posizionarlo in alto in tal senso). Si difendeva invece dal punto di vista delle conoscenze tecniche, grazie alle quali ha attivamente contribuito allo sviluppo di alcune delle migliori Williams di sempre, e nella gestione delle gomme che quasi gli consentirono di vincere in Ungheria nel 1997 a bordo di una Arrows equipaggiata dalle gomme Bridgestone. Concludendo, Hill ha dimostrato di essere un ottimo pilota anche a bordo di squadre di secondo piano: si segnala infatti la vittoria sulla Jordan in Belgio nel 1998 (a proposito, l’inglese andava davvero forte a Spa…), e la già citata quasi vittoria sulla Arrows in Ungheria 1997. Complessivamente però si posiziona nell’ultima zona della classifica, a conferma che è sempre stato un gradino sotto rispetto agli altri campioni del mondo qui analizzati.
Al quattordicesimo ed ultimo posto si posiziona il figlio del compianto Gilles, ovvero il Campione del Mondo 1997 Jacques Villeneuve. Per il canadese valgono tante delle considerazioni già fatte per Damon: pilota di valore, con all’attivo un campionato vinto in Indycar ed una vittoria ad Indianapolis 500, dunque eclettico e versatile, con una spiccata personalità creativa. A tal proposito, il canadese spesso richiedeva delle regolazioni non convenzionali sulla sua vettura, come assetti asimmetrici (eredità dei suoi anni trascorsi in Indy), che suscitavano l’ira dell’allora direttore tecnico della Williams, l’arcigno Patrick Head. Dal punto di vista della guida, il canadese era un pilota ostico, che ha mostrato sprazzi di velocità notevole, così come alcune manovre spettacolari (su tutti, il sorpasso sul curvone finale dell’Estoril all’esterno di Michael Schumacher nel Gran Premio del Portogallo 1996).
Si posizione però lontano dai primi posti in quanto a velocita pura e passo gara, ed in generale nelle caratteristiche strettamente legate alla guida pura. Si difende invece benissimo dal punto di vista tecnico, e per capacità di leadership, riflesso di una solidità mentale notevole, che gli ha consentito di lottare contro Michael Schumacher nel 1997.
A posteriori, anche la sua ultima posizione in questa speciale classifica sembra coerente con il valore oggettivo di tutti gli altri campioni qui analizzati.