«Michael era un leader. Lewis è un talento puro.» Il confronto sincero di James Vowles
02/08/2025 10:00:00 Tempo di lettura: 4 minuti

James Vowles, oggi team principal della Williams, è stato per anni uno degli uomini chiave dell’era d’oro Mercedes. Ospite del podcast “High Performance”, ha condiviso riflessioni intense e personali su due leggende con cui ha lavorato: Michael Schumacher e Lewis Hamilton. Il risultato? Un confronto onesto, tecnico e umano tra leadership e talento naturale.

Il carisma silenzioso di Schumacher

Vowles non si nasconde quando gli viene chiesto di comparare i due campioni. Anzi, parte con un’affermazione netta: “Michael non era il più dotato alla guida. Ho già detto che quello è Lewis.” Eppure, Schumacher aveva qualcosa che andava oltre, una visione che tutti sapevano di dover seguire: “Sapeva estrarre ogni millisecondo da sé stesso e ogni millisecondo dal team. Diceva ‘si va in quella direzione’ e tutti lo seguivano. Così tanto che entrambi i lati del garage volevano che vincesse.

Il suo impatto non era solo tecnico, ma profondamente umano. Vowles racconta episodi intimi, quasi sorprendenti: “Conosceva la data del compleanno della mia compagna, mandò fiori a casa. Io non avevo fatto nulla.” Un uomo oltre il pilota, capace di ricordare dettagli della vita privata dei meccanici e degli ingegneri, e che – come sottolinea – non lo faceva per calcolo, “ma perché gli importava davvero.

«Michael era un leader. Lewis è un talento puro.» Il confronto sincero di James Vowles

Il retroscena più potente, però, arriva parlando del ritiro di Nico Rosberg, di come un punto di riferimento inarrivabile possa anche sfinirti: “Nico ha imparato tantissimo da Michael. Ha spremuto tutto, al punto da sacrificare affetti e vita privata. Ma alla fine ha capito che quella non era la vita che voleva.

 

Hamilton, l’ottimizzatore istintivo

«Michael era un leader. Lewis è un talento puro.» Il confronto sincero di James Vowles

Lewis è l’altra metà del racconto. Il talento. Il fuoriclasse. “Ha un senso del limite che va oltre i dati. È un ottimizzatore, uno che prende il simulatore come base ma poi ascolta le sensazioni. In Brasile, il sim diceva di usare la settima marcia. Nico lo faceva. Lewis ha detto ‘non mi torna’, è tornato in sesta e ha guadagnato un decimo.

Ma Hamilton è anche caos creativo. “In FP1 sembra un polipo sul volante, cambia tutto, esplora tutto. A volte usciva alla prima curva cercando il limite in frenata. Su 20 giri ne completava uno”, e se ci pensiamo è quello che sta avvenendo in questa prima parte della sua avventura in Ferrari, con i venerdì sempre molto "complicati".

Il suo processo di apprendimento è viscerale: “In pochi giri conosce già i limiti della macchina, del grip, delle regolazioni. Dove altri impiegano otto giri a capire, lui lo sa già.” Ma con un rovescio della medaglia: “Cambiare troppo in fretta può confondere gli ingegneri. Capita che torni ai box e non sai più da dove partire. Ma poi magari ritorna a un setup noto e magicamente è di nuovo davanti.

La forza di questo confronto è proprio nella sua sincerità. Vowles non fa retorica: non dice chi è “il più grande”, ma svela come due piloti abbiano raggiunto l’eccellenza in modo completamente diverso. In fondo non esiste un solo modo per essere grandi. Esiste solo l’ossessione per ciò che si ama fare.

Schumacher era il catalizzatore, il condottiero capace di creare attorno a sé una macchina perfetta. Hamilton è l’intuito puro, il perfezionista che ascolta la pista più del simulatore, che sbaglia e impara, che esplora e trova nuove vie. Uno leader, l’altro artista, ma adesso a Lewis viene chiesto di essere anche leader.

 

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Foto copertina x.com


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