Da quando esiste, ossia dal 1950, la Formula Uno è sempre stata sinonimo di avanguardia, estrema sofisticazione, tecnica e tecnologia quasi inarrivabile per i "comuni mortali", molti dei quali proprio per questo, o anche per questo, a essa si appassionavano e si appassionano.
C'è stato, però, un tempo in cui la Formula Uno era umanizzata, fortemente umanizzata per così dire, da una serie di profili caratteriali che a diverse gradazioni di un talento comunque cristallino abbinavano personalità e modi di fare che sentivamo vicini a noi. Vari, fra loro, all'epoca parlavano italiano; alcuni con accento romano, come il compunto Elio De Angelis o il più verace Andrea De Cesaris, nato oggi di sessantacinque anni fa nella Capitale. Talento cristallino, pilota velocissimo, lui come i vari Giacomelli, Patrese o lo stesso De Angelis; tutta gente che con la macchina vincente sotto mano sarebbe riuscita a valere e vincere più o meno quanto i migliori.
Andrea De Cesaris, arrivato in Formula Uno dopo una trafila dal crescendo che era stato velocizzato in base al merito, dal kart fino alla Formula Tre, quindi la Formula Due sotto l'egida di Ron Dennis e della Marlboro.
La Formula Uno per De Cesaris comincia nel 1980, un inizio meritato e se vogliamo anche simbolico, perché inaugura un decennio in un certo senso eroico della massima formula, caratterizzato dalle mostruose potenze erogate dai motori turbo che via via, anche per le scuderie minori, soppiantarono gli aspirati Cosworth. Alle potenze motoristiche, a vari livelli, corrispondevano una fragilità telaistica e un'affidabilità relativa e vari piloti esibivano il loro talento, la loro aggressività e i tempi sul giro di assoluto rispetto senza poter ambire, spesso, a completare un gran premio su uno dei gradini del podio o addirittura a vincerlo. Tutte cose che uno come De Cesaris avrebbe meritato molto più spesso di quanto non gli sia accaduto e non conta che lo scriviamo noi: lo hanno sempre sottolineato, a proposito di gente come lui, i vari Mansell, Prost, Piquet; tutti campioni che nei vari duelli hanno testato la sua tempra e il suo valore di guida.
Quattordici stagioni di Formula Uno, a cavallo tra due decenni e due ere, dal 1980 al 1994, al volante di Alfa Romeo, McLaren, Brabham, Ligier, Minardi, Tyrrell, Jordan, Sauber, Scuderia Italia, Rial...in ordine sparso e mescolando marchi storici a nomi di scuderie che, scommettiamo, il lettore aveva rimosso. 5 podi su 208 partenze, 59 punti complessivi, una pole e un giro veloce. Tanto? Poco? È relativo: di certo non fu abbastanza per il talento e la qualità di guida di uno come Andrea De Cesaris.
Una cartolina, con tanto di audio, del tempo che fu, quando la Formula Uno era a disposizione di ogni abbonato RAI ed era normale avere i gran premi sulla TV di stato; Mario Poltronieri in telecronaca ed Ezio Zermiani tra box e bordo pista, cuffia e microfono, a cogliere voci e umori direttamente da sotto i caschi.

È terminato il Gran Premio del Messico del '91, Andrea non ha ancora tagliato il traguardo perché ha finito la benzina e a meno di duecento metri è sceso a spingere la sua Jordan, anche se sarà comunque classificato quarto. Tratto in leggera salita, fatica immane; Zermiani incalza col microfono, tentando anche di fargli sapere che è in ogni caso già classificato. Risposta di cuore, anzi: de còre: "Ma invece di dimme tutte ‘ste fregnacce, perché non te metti pure tu a spigne?". Oggi sarebbe un "meme" su ogni sito. Ieri era uno degli aspetti che ancora riusciva a farci vivere i piloti come e attraverso gli uomini che erano.
Trascorrere quattordici anni negli abitacoli più esposti ai rischi dell'intera storia della Formula Uno e poi perdere il controllo di una Suzuki 600 mentre si percorre il Grande Raccordo Anulare che avvolge e diluisce - si fa per dire - il caos di Roma, all'altezza dell'uscita Bufalotta, finendo addosso a una barriera di cemento, senza possibilità di salvezza. Si può, per uno che aveva sempre dominato i centimetri e i centesimi di secondo? Si può perché la vita può fare persino questo, così come ti lascia senza benzina pochi metri prima del traguardo. Quello che non possono fare né la vita né la morte è cancellare il valore di certi uomini, che alla fine hanno vinto in ogni caso, perché tutti ricordano ancora quanto lo avrebbero meritato.
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