Se escludiamo l'appuntamento a Silverstone è quello in Cina, questa prima metà di stagione ha messo in evidenza una dinamica alquanto delicata tra Lewis Hamilton e il box Ferrari. In particolare, i team radio ascoltati in Austria e in Canada hanno palesemente svelato un certo malcontento del sette volte campione del mondo verso le scelte strategiche della Scuderia. Un malcontento espresso con frasi pubbliche che hanno fatto discutere, come quella – piuttosto esplicita – “non voglio arrivare al punto di ignorare il muretto”, a proposito delle chiamate ricevute in gara.
È chiaro che se si sceglie di puntare su un pilota del calibro di Hamilton, lo si fa non solo per le sue capacità in pista, ma per l’esperienza e il metodo che può portare in squadra. Ma l’equilibrio tra leadership tecnica e rispetto del lavoro collettivo è sottile, e la Ferrari ha deciso di chiarire la propria posizione con parole misurate ma ferme.
Nel weekend del Gran Premio d’Austria, la Ferrari era pronta a chiudere con un solido terzo e quarto posto, alle spalle delle imprendibili McLaren. Hamilton si trovava in quarta posizione, subito dietro a Leclerc, e il team aveva scelto una strategia su tre soste medium-hard-medium. Dopo il secondo pit stop di Leclerc, Hamilton ha chiesto se fosse possibile tentare una sola sosta, come poi fatto da Alonso e Lawson, giunti rispettivamente sesto e settimo. Ma a Maranello hanno deciso di richiamarlo ai box poco dopo, consolidando il risultato anziché rischiare.
Prima di Silverstone, Hamilton ha poi chiesto un confronto interno, e a fare chiarezza è stato il vice team principal Jérôme D’Ambrosio, che ha spiegato così la decisione ai media:
“I piloti vogliono sempre di più; vogliono lottare e finire davanti a chiunque sia davanti a loro. La realtà a Spielberg è che avevamo una strategia ottimale, ed era importante per noi assicurarci di portare a casa quello che avevamo; non c’era alcun incentivo, come squadra, per allontanarsi da quella strategia ottimale.”
“I piloti si pongono domande dopo ogni gara, ma dopo l’Austria era abbastanza semplice: hanno capito il quadro generale, che in gara non sempre vedono, quindi non è un grande argomento di discussione.”
Alla domanda se la Ferrari non avrebbe potuto provare qualcosa di diverso per Hamilton, visto che apparentemente “non c’era nulla da perdere”, D’Ambrosio ha risposto con cautela:
“Per noi, 'nulla da perdere' è sempre un’espressione forte da usare. Dal punto di vista della squadra, cosa c’era da guadagnare? La realtà è che non c’era nulla da guadagnare, e vuoi sempre essere equo con entrambi i piloti, senza mettere nessuno in una situazione di disagio. Non c’era motivo di reinventare la ruota.”
Parole sibilline, che invitano ad una riflessione: se è giusto valorizzare l’apporto di un sette volte campione del mondo come Hamilton, è altrettanto importante evitare di trasformare ogni divergenza in un caso pubblico. Il metodo Ferrari, l'ultimo realmente vincente, quello che alcuni di noi ricordano bene ai tempi di Schumacher, è fatto di rigore, di rispetto e di una visione d’insieme: ingredienti che richiedono coesione interna e una gestione delle divergenze con maggiore tatto. La sfida, oggi, è anche questa.
Foto copertina x.com
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