Barrichello al Mirror: «La Ferrari mi prese per sistemare i setup»
23/08/2025 11:00:00 Tempo di lettura: 4 minuti

Schumacher-Barrichello e, ogni tanto, Barrichello-Schumacher. Chi ha vissuto l'era d'oro della Ferrari all'inizio del secondo millennio non può scordare le doppiette che per 24 volte imposero il dominio Rosso in Formula 1.

Rubens Barrichello ha svelato al Mirror i segreti del periodo “magico” in cui la Ferrari dominò la Formula 1, a cavallo tra il 2000 e il 2005. Un’epoca in cui Michael Schumacher conquistò cinque titoli mondiali consecutivi e la Scuderia vantava una continuità e una qualità organizzativa inarrivabile. Ognuno faceva la propria parte nel migliore dei modi. Michael era primo pilota e leader e il brasiliano ammette di essere stato scelto per un compito ben preciso: la sua abilità nel migliorare i setup nei test e rendere la macchina ancora più competitiva.

L’ex pilota, oggi 53enne, ricorda così il momento della chiamata di Jean Todt“Le persone sapevano quanto mi piacesse lavorare sul setup della vettura e penso che fosse proprio quello che serviva. Avevano bisogno di qualcuno che entrasse in quel grande team per migliorarlo nella messa a punto. Provavo tutte le gomme, tutti i setup, provavo tantissime cose”. Una predisposizione al lavoro metodico che gli valse l’ingresso a Maranello dopo le esperienze in Jordan e Stewart, con cui nel 1999 aveva già dimostrato di poter ottenere risultati importanti con una buona monoposto.

L’impatto fu immediato: secondo al debutto a Melbourne, alle spalle del solo Schumacher, e poi la prima vittoria, sofferta e liberatoria, arrivata al Nürburgring. “Quella vittoria fu più un sollievo che altro”, confessa. In totale furono nove i successi con la Ferrari, in sei stagioni da gregario di lusso, capace però di incidere profondamente nella costruzione di un ciclo vincente.

 

Perché la Ferrari "funzionava" così bene?

Barrichello al Mirror: «La Ferrari mi prese per sistemare i setup»
Barrichello sottolinea il clima unico che si respirava all’interno del team: “Per tutto nella vita serve una grande organizzazione e un buon leader. Un buon leader non è quello che viene a dirti ‘perché non hai fatto bene questo?’, ma quello che ti chiede ‘come posso aiutarti a fare meglio?’. La Ferrari di allora aveva proprio quell’attitudine. Ross Brawn, Jean Todt, Rory Byrne: ciascuno faceva la propria parte alla perfezione. Anche i meccanici erano esattamente dove dovevano essere”. Un’armonia che si rifletteva anche sullo sviluppo tecnico: “L’approccio all’aerodinamica, con la galleria del vento e tutto il resto, stava crescendo di anno in anno. Era un grande team con una grande macchina”.

Non manca un confronto con il presente, ma con la cautela di chi sa che i paragoni hanno poco senso. Oggi sappiamo troppo, il pubblico sa troppo. La gente parla troppo: dovresti discutere certe cose solo all’interno del team. È dura, non è facile essere un pilota Ferrari. Non lo era ai miei tempi e oggi, con i social, lo è ancora meno. Credo di aver vissuto nel momento giusto, perché restavo in silenzio per il pubblico ma non dentro la squadra”.

Parole che restituiscono non solo l’immagine di un pilota spesso sottovalutato, ma soprattutto la fotografia di un’epoca irripetibile: quella di una Ferrari che aveva trovato la sua formula vincente grazie a uomini diversi ma uniti da un obiettivo comune. Un modello che, come dimostra la storia recente, resta difficile da replicare.

Foto copertina e interna X @_MSchumacher

Leggi anche: Massa vuole il titolo 2008 e rivela: «Mi sono sentito male. Ora voglio giustizia»

Leggi anche: 20 agosto 1999 - Il test «fallito» da Schumacher


Tag
barrichello | ferrari | schumacher |