Nel capolavoro “Scent of Woman” uno strepitoso Al Pacino nella parte del Tenente Colonnello non vedente Franke Slade, confida al suo giovane accompagnatore che la seconda passione della sua vita è la Ferrari. Nell’arringa finale a difesa del giovane Charlie Simms, il Tenente afferma che non c’è mutilazione peggiore che quella dell’anima, per la quale non c’è protesi. Perché menzionare i passaggi di un capolavoro della cinematografia in un articolo che verte sul futuro dell’Alfa Romeo in Formula1?
E’ necessario innanzitutto precisare che il leggendario marchio italiano nella massima categoria del motorsport è tornato in qualità di titlesponsor non essendo attivo alcun programma sportivo della storica azienda del Portello. Il tutto nacque nel 2016 su precisa volontà di Sergio Marchionne che fece apporre il logo dell’Alfa Romeo sul cofano motore della Ferrari SF16-H.
Ferrari SF16-H su cui compare il marchio dell’Alfa Romeo
Il successivo sodalizio con Sauber doveva essere solo il primo punto del ritorno del Biscione in Formula 1 con un proprio team. La prematura scomparsa del manager italocanadese nel 2018 ebbe un impatto devastante sulle sorti sportive della Ferrari e sul piano di rilancio dell’Alfa Romeo che nelle intenzioni di Marchionne era strettamente vincolato alla acquisizione del team Sauber dal gruppo Fiat Chrysler. Da allora la partnership con il team svizzero è proseguita come main sponsor nell’ambito della fornitura delle power unit Ferrari alla scuderia di Hinwil.
Esattamente un anno fa, in occasione del gran premio del Belgio, è stato ufficializzato l’ingresso di Audi in Formula 1 che prevede una progressiva acquisizione della struttura fondata da Peter Sauber realizzando, di fatto, il sogno ideato da Marchionne. Il nome dell’Alfa Romeo, tuttavia, resterà nel circus attraverso un accordo di partnership con Haas cliente delle power unit prodotte dalla Scuderia Ferrari. Un malinconico trasloco di un marchio che ha fatto la storia del motorsport per gli “Alfisti” della prima ora. Nonostante Carlos Tavares, CEO di Stellantis, abbia più volte dichiarato di voler completare il progetto di Marchionne, ad oggi, sulle monoposto c’è solo la livrea del biscione.
Carlos Tavares, CEO Stellantis, all’ingresso del tracciato di Imola – Credit: Stellantis
La massima categoria del motorsport da anni ha accettato e promosso il redranding delle power unit e dei team. Basti pensare alla sponsorizzazione di Aston Martin sulle Red Bull che nel 2018 si iscrisse al mondiale di Formula 1 come Aston Martin Red Bull Racing nonostante utilizzasse power unit Renault. Dopo qualche anno il marchio Aston Martin è tornato nel circo della Formula 1 grazie alla cordata di investitori capeggiata da Lawrence Stroll. Ma del glorioso marchio inglese cosa c’è realmente nelle monoposto di Alonso e Stroll Jr? Nulla. E quindi cosa c’è di peggiore della mutilazione dell’anima sportiva di un brand iconico come Alfa Romeo? Per quale motivo tenere in vita un mito quando di quel mito non c’è più traccia dal punto di vista tecnologico?
L’ultimo vero impegno ufficiale dell’Alfa Romeo nel motorsport risale a metà degli anni 90 con la partecipazione nel DTM prima e nell’ITCC in cui il team italiano bastonò la concorrenza tedesca dando lustro allo storico marchio italiano. Purtroppo il rebranding è la morte stessa dell’anima della Formula 1 e dei leggendari brand vittime di logiche legate alla visibilità.
Il logo del futuro sodalizio Red Bull Powertrains / Ford
Una prassi ormai consolidata che durerà ancora per diversi anni come dimostra l’accordo tra Ford e Red Bull a partire dal 2026, sdoganato come nuovo costruttore, ma che sul fronte tecnologico non porterà valore aggiunto alla divisione Powertrains del team di Milton Keynes.
Il rebranding è a tutti gli effetti una pubblicità ingannevole, un messaggio falsato che entusiasma i meno informati e che mortifica la storia di marchi leggendari. L’ennesima stortura della Formula 1 2.0 dagli incassi record ma dal contenuto davvero sempre più povero di valori.
Foto interna www.media.stellantis.com
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