Il primo maggio 1994 è una data impressa a fuoco nella mente di tutti gli appassionati di motori. Uno di quelli in cui, difficilmente, chi ha vissuto quegli istanti ha dimenticato dove fosse o cosa stesse facendo alle 14:17 di quel giorno, quando Ayrton Senna, con la sua Williams, impattava contro il muro alla curva Tamburello dell'autodromo di Imola, ponendo per sempre fine alla sua vita terrena. Da allora sono passati anni, tra inchieste e dubbi, che mai, però, hanno portato Ayrton nell'oblio. Anzi, lo hanno reso ancor più una leggenda. E proprio per ricordare, come ogni anno, la scomparsa del pilota brasiliano, ripoponiamo l'intervista realizzata in esclusiva lo scorso anno, per i 30 anni dalla scomparsa di Senna, con Ann Bradshaw, PR della Williams che quel primo maggio era ad Imola, a lavoro e quindi testimone della vicenda, oltre che legata professionalmente e umanamente al protagonista, suo malgrado, degli eventi.
Salve Ann, quale era il suo ruolo in Williams nel 1994? Che rapporto aveva con Senna?
"Ero l’addetta stampa del team. Avevo già lavorato con Ayrton nel 1986, quando era alla Lotus. Lo conoscevo bene e gli piaceva il mio modo di lavorare. Avevo iniziato con un'agenzia, la CSS, che si occupava di Canon e di John Player Special. Ho lavorato un anno con JPS, poi dal '87 sono andata in Williams".
Nel 1994 arrivò Senna, in coppia con Hill: ci racconta come un PR gestisce i piloti, i loro rapporti e, nel caso specifico, quello tra Hill e Ayrton?
"Gestire un rapporto tra piloti, se tra loro non si piacciono, non è facile. Devi essere professionale, trattarli allo stesso modo e minimizzare ciò che dicono in pubblico. Per fortuna Damon e Ayrton, pur avendo corso insieme solo 3 gare, andavano d'accordo".
In quel 1994 Ayrton, dal primo test, non fu mai contento della Williams. Conferma?
"Non era contento della posizione di guida, non delle prestazioni dell'auto. Voglio dire: la vettura era veloce, come lo era stata nel '93, e lo si era visto in Brasile e ad Aida. Lui non si sentiva a suo agio con la posizione di guida, con la presa sul volante e per questo il team aveva apportato delle modifiche per accontentarlo durante i test invernali".
Modifiche diverse da di Imola?
"No, quella di Imola è stata uguale alle altre effettuate nelle gare precedenti e nei test. Vorrei precisare un aspetto: io ero addetta stampa, non una figura tecnica e quindi assolutamente lontana da queste decisioni".
Posso chiederle quali erano le sensazioni di Ayrton, ma anche sue e quelle team, alla vigilia del weekend di Imola '94?
"In questi 30 anni sono state scritte molte cose su quel weekend e su come si sentiva Ayrton alla vigilia. Era un professionista, faceva il suo lavoro, e per noi quella di Imola era una gara in cui volevamo fare bene e soprattutto arrivare al traguardo dopo i due ritiri nelle prime due uscite stagionali. Tuttavia gli incidenti di Barrichello nelle prove libere e di Ratzenberger in qualifica hanno colpito tutti. Tutto il paddock era sotto shock, non solo la nostra squadra, non solo Ayrton".
Avendo lavorato tutto il weekend a fianco di Senna, crede che fosse solo sotto shock o che percepisse già qualcosa di negativo?
"No, per quanto mi riguarda era il solito pilota, la solita persona, come sempre molto professionale. Certo dopo il sabato era sotto shock, così come lo erano tutti nel paddock, per l'incidente di Ratzenberger".
Uno shock che lo ha accompagnato fino alla domenica: posso chiederle se ricorda come si svolse quello che, a posteriori, sarebbe stato l'ultimo giorno di Ayrton?
"Ricordo una giornata normale. Come PR posso dire che i piloti non hanno mai impegni media prima di un GP. Quella mattina era silenzioso, parlava poco ma era prevedibile. Pensi che solo dopo la gara abbiamo saputo che in macchina aveva la bandiera austriaca che intendeva usare come omaggio a Roland Ratzenberger: era la sua intenzione, ma nessuno lo sapeva. Aveva anche la bandiera brasiliana da mostrare in caso di vittoria".
Una realtà diversa da quella raccontata... E sul fatto che, insolitamente, Ayrton non scese dalla macchina prima del via, cosa può dirci?
"Bisogna fare una precisazione. In quegli anni molti piloti in griglia restavano nelle loro auto prima del via, era abitudine comune perché al tempo non c'erano molte troupe televisive o giornalisti in attesa di parlare con i piloti".
Se le chiedessi di chiudere gli occhi e dirmi il suo ultimo ricordo di Ayrton, cosa le viene in mente?
"Ricordo una mattina tranquilla, con Ayrton seduto nel motorhome come sempre. Era con suo fratello Leonardo, il suo fisioterapista Josef e il suo PR. A ridosso della gara ero in griglia con Damon Hill, tutto era calmo. Poi, purtroppo, tutto è andato storto fin dal via della gara. Penso sia triste guardarsi indietro e pensare a chi abbiamo perso, sia come pilota che come adorabile essere umano".
E, invecd, a 30 anni dalla sua scomparsa quale è il suo personale ricordo di Ayrton?
"Mi piace ricordarlo come un uomo profondamente spirituale e un pilota straordinario, probabilmente il migliore di sempre. Era legato al suo paese, al Brasile ed è bello vedere che la Fondazione Senna, che aveva da poco creato per aiutare i bambini in difficoltà nel suo paese, esista ancora oggi. Ha fatto del bene, ha fatto un ottimo lavoro".
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