Negli scorsi giorni, in un’intervista rilasciata ad un ristretto gruppo di testate giornalistiche, Stefano Domenicali, presidente e CEO della Formula 1, ha sollevato un tema per nulla banale: una grande fetta di pubblico, soprattutto giovani, preferisce guardare solo i momenti salienti dei Gran Premi. Da qui la sua riflessione: le gare, così come sono oggi, potrebbero essere troppo lunghe.
Un’idea che inevitabilmente accende il dibattito. Perché toccare la durata di un Gran Premio significa mettere in discussione uno dei pilastri su cui la Formula 1 si regge da decenni. Ma forse il vero problema non è il cronometro.
Non è il tempo a spegnere la passione. Non lo sono mai stati i 300 chilometri di gara, né quell’ora e mezza (meno di una finale di tennis e quasi quanto una partita di calcio) passata davanti alla televisione. Perché quando la pista si accende e il cuore inizia a tremare, nessuno si accorge del tempo che scorre.
Lo scorso weekend è bastato un sorpasso di Leclerc per ricordarcelo. Un azzardo al limite, di quelli che fanno saltare sul divano. Come nel 2021, quando Hamilton e Verstappen regalarono agli appassionati un duello lungo un’intera stagione. O nel Bahrain 2022, con Leclerc e Verstappen che si scambiarono la leadership giro dopo giro, in una battaglia che sembrò durare troppo poco.

La verità è che in quelle occasioni la durata del Gran Ppremio non contava più: contava solo l’adrenalina che tornava a scorrere, la sensazione che tutto potesse ancora succedere.
Il vero problema non è che i Gran Premi sono troppo lunghi (magari in alcuni casi potrebbe trattarsi anche di quello, ma si tratta della minoranza). Il problema è che troppe volte sembrano semplicemente prevedibili. Troppo spesso la vera natura della Formula 1 sembra essere ingabbiata: regole minuziose, penalità millimetriche e strategie disegnate più dai computer che dall’istinto. E così le corse perdono la loro essenza: l’imprevedibilità, il rischio, la libertà dei piloti di osare.
Gli highlights hanno certamente successo, succede anche nel calcio. Eppure nessuno vorrebbe ridurre una partita a soli cinque minuti, perché l’attesa, la tensione, il crescendo verso il momento decisivo sono parte dello spettacolo. Senza quelli, il “momento clou” perde valore.
Forse il futuro della Formula 1 non sta nell’accorciare i Gran Premi, ma nel restituire loro intensità. Lasciare più spazio ai piloti, meno alle istruzioni via radio. Incoraggiare i duelli, non solo l’uso del DRS. Permettere agli errori, agli imprevisti, al talento puro di cambiare le sorti di una gara.
Perché il pubblico, giovane o meno, non cerca una gara breve: cerca una corsa vera, che faccia battere il cuore. E quando la Formula 1 si ricorda di poterlo fare, la durata non conta più.
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