Still I Rise: l'inno di chi non ha mai smesso di lottare
Still I rise c'è scritto sulla schiena dell'uomo vestito di rosso nel paddock di Abu Dhabi. Attorno ci sono decine di fotografi, ma lui tiene la testa alta e si muove con sicurezza. Perchè così ha imparato, perchè così è stato costretto. 

07/01/2025 23:30:00 Tempo di lettura: 5 minuti

Still I rise c'è scritto sulla schiena dell'uomo vestito di rosso nel paddock di Abu Dhabi. Attorno ci sono decine di fotografi, ma lui tiene la testa alta e si muove con sicurezza. Perchè così ha imparato, perchè così è stato costretto a fare.

Still I rise si diceva quando era un bambino e correva con un kart rattoppato, costruito alla bell e meglio con i mezzi del padre, mentre spiava attorno a lui ragazzini con bolidi più veloci, più costosi. Coetanei che lo prendevano in giro per il colore della pelle, per i soldi che gli mancavano, mascherando così l'invidia nel vederlo vincere sempre, nonostante le sue difficoltà. Perchè il giovane Lewis non rispondeva a parole, ma lasciava il segno in pista. 

Still I rise aveva pensato in quel Gran Premio di Turchia del 2006, quando scelse un assetto folle per la sua ART, si girò, e da ultimo vinse quella corsa in GP2, che lo rimise in lotta per il titolo. "La macchina non è illegale, è solo il talento del pilota", si legge in una nota dei direttori di gara. 

Still I rise aveva bofonchiato sotto il caso parecchie volte nel 2007, quando in pista lottava più con il compagno di squadra che con i team rivali, quando sugli spalti lo scimmiottavano ancora per il colore della pelle, quando finì in ghiaia in Cina, mettendo fine al grande sogno di un Mondiale vinto nella stagione d'esordio. Un anno amaro, che gli diede la grinta di coronare il suo sogno 12 mesi dopo sotto la pioggia del Brasile, lo scenario perfetto per un certo Ayrton Senna, suo modello di riferimento. 

Still I rise si era promesso nei primi periodi in Mercedes, quando la macchina non andava come sperato, quando le voci nella testa gli ripetevano che era un folle per aver lasciato una strada nota per un' avventura sconosciuta, seguendo la chiamata di Niki Lauda. Ma forse ci aveva visto lungo, perchè l'anno dopo quella firma aveva in mano il suo secondo Mondiale. E in quello dopo ancora il terzo. Per il quarto c'è stato da attendere un po', posticipato da quella lotta fratricida con l'amico di sempre, Nico Rosberg, che gli ha estratto la linfa vitale per farlo diventare una macchina da guerra. 2017, 2018, 2019, 2020, Titoli conquistati con precisione e forza, un percorso unico che gli ha permesso di scrivere il suo nome accanto a quello di Michael Schumacher. Anni in cui Lewis cresceva, diventava un uomo e trovava la sua voce per cause che andavano al di fuori dalla pista. 

Still I rise si era detto in quella notte di Abu Dhabi, quando era arrivato a un passo dalla storica impresa di vincere otto Mondiali. Ma il destino aveva in mente altro, un crudele gioco per fargli perdere il sogno di una vita. Gli dei delle corse volevano che affrontasse mesi bui, in cui lottase con se stesso, con l'idea del ritiro, con delle vetture poco performanti e le critiche dei media. Parole e pensieri cupi spazzati via dalla luce di una vittoria scenografica, degna del miglior film: dopo due anni di attesa, Lewis è stato incoronato ancora re di Silverstone, davanti a un pubblico in visibilio. E c'è qualcosa di poetico nel fatto che il GP di Gran Bretagna sia stata la sua ultima vittoria firmata Mercedes festeggiata con tutti gli onori. 

Perchè Still I rise è quello che si è detto quando firmò il contratto per passare in Ferrari a partire dal 2025. Una sfida durissima per quella che potrebbe diventare una storia da raccontare ai posteri. Il canto finale del cigno, tra Tifosi in parata, critiche per ogni errore, e sfide interne con la nuova generazione. Sulla torta le candeline saranno anche 40, ma gli occhi di Hamilton restano come quelli di un debuttante che realizza un sogno. Un ultimo ballo per entrare nella leggenda.

 

Foto copertina x.com

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