Intervista ad Andrea Diodato, fotografo di Formula 1: «Vivo il mio sogno»
La redazione di Formula1.it ha avuto il piacere di intervistare Andrea Diodato, fotografo sportivo con un'esperienza di oltre 50 weekend passati ad immortalare momenti storici per la classe regina del motorsport.

26/03/2025 08:00:00 Tempo di lettura: 18 minuti

Andrea Diodato è un giovane fotografo freelancer italiano, che ha realizzato il proprio sogno: lavorare nel mondo del motorsport. Ecco la conversazione che abbiamo avuto con lui.

FP: "Ciao Andrea, grazie di averci concesso la possibilità di intervistarti. Raccontaci un po' di te, di come nascono le tue passioni per il motorsport e la fotografia, l'idea di combinarle in un lavoro ed il tuo percorso fin qui".

AD: "Allora, diciamo che per me la fotografia è nata veramente come un gioco, nel senso che ho giocato a calcio fino a 18 anni, ho giocato in tutte le squadre giovanili professionistiche, poi ho avuto un infortunio, poi tante situazioni che esistono nel calcio che mi hanno fatto vivere un po' 'male' tanti anni della mia vita, mi hanno fatto letteralmente odiare quello sport, cioè era diventato quasi un peso praticarlo".

"Io vivevo per il calcio, nel senso che facevo cinque allenamenti a settimana, poi quando ero cresciuto si giocava la domenica, quindi era veramente la mia vita; avevo un giorno libero mentre andavo a scuola, quindi diciamo che il lato agonistico l'ho sempre avuto, sono sempre stato in mezzo agli sport". 

"Ho sempre amato i motori perché ci sono nato 'nel mezzo', perché mio padre ha lavorato per 34 anni in Mercedes qui a Milano. Mio nonno era un appassionato di Formula 1, di quelli tosti, quindi diciamo che sono cresciuto con queste cose in parallelo".

"Poi amo veramente tutti gli sport, seguo il tennis da prima che diventasse uno sport più popolare perché forse c'è Sinner, anche quando ero piccolo guardavo Federer, quando c'erano le partite di Federer le guardavo sempre, ma un po' tutti, quindi l'unico sport che non mi fa veramente impazzire è il basket, è solo una mia noia, ma per il resto ho sempre seguito tutto".

"Quando ho smesso di giocare a calcio, come ti ho detto, avevo questa cosa di dover sempre fare qualcosa, cioè il calcio mi ha dato la possibilità di essere un po' iperattivo e mi ha dato molta mentalità 'vincente', nel senso che qualsiasi cosa deve essere fatta per uno scopo. Quindi se faccio una cosa la faccio per farla diventare un lavoro, per farla bene, non la lascio a metà".

"Prima di fare le foto in realtà ho avuto un periodo in cui ho sempre amato la musica, l'ho sempre considerata un po' una compagna, suonavo la batteria e andavo a lezione da un insegnante di batteria che è un mio amico e diciamo che facevo un po' di foto".

"Ho cominciato davvero per gioco, perché mi sono detto comincio a fare le foto ai miei amici al bar, perché dove andavo io c'era sempre un piccolo palco dove la gente si divertiva e allora ho detto 'bene, ci vado'. Ho iniziato da lì, ho iniziato in un piccolo pub qui vicino a casa mia, la mia città si chiama Corbetta. Sono partito facendo foto ai miei amici, con cui organizzavamo delle serate che erano quasi tutte serate punk fondamentalmente, punk rock".

"Ho poi fatto un percorso per iniziare a capire come funzionava la fotografia, nel frattempo ho fatto un corso gratuito di fotografia di base ed è per questo che ora faccio corsi gratuiti di fotografia di base nel mio comune, ne ho fatti due l'anno scorso e ora dovrò parlare per rifarli. Così ho cominciato a vedere la fotografia in un altro modo, ma in realtà era sempre un gioco, nel senso che andavo a comprare la macchina fotografica al supermercato, mentre adesso le macchine fotografiche le pago 6-7 mila euro, quella l'avevo pagata 350, quindi capisci che è proprio venti volte tanto". 

"Poi è arrivato un bel giorno in cui Manuel Agnelli (se avete mai visto X-Factor sapete a chi riferisco) ha fatto un concerto qui, proprio davanti a casa mia. Lui vive nel mio paese, mentre ad Abbiategrasso - un altro paese qui vicino - abita Giusy Ferreri, per dire in un altro paese abita Giacomo Porretti, quindi diciamo che ci sono dei grandi e noti personaggi qui in zona. Alla fine mi sono trovato ad essere l'unico fotografo della serata e uno/due giorni dopo mi dicono che c'erano un paio di giornali locali e Corriere Milano che volevano le foto della serata, perché volevano fare degli articoli, dato che Manuel non suonava da un po'. Mi hanno contattato e mi hanno detto 'quanto vuoi per le foto?' E lì ho detto 'interessante questa cosa che ti pagano per avere le foto', quindi poi ho iniziato diciamo nella parte concerti: ho fatto Calcutta, ho fatto Dua Lipa all'Alcatraz con 1500 paganti

"Nel motorsport, invece, ho iniziato facendo il super trofeo ed i test. Andavo spesso ai test a Monza, perché io Monza ce l'ho 50 km e io ai tempi ho conosciuto Andrea Antonelli, papà Marco e sua moglie, la mamma di Andrea, grazie a questo pilota che guidava per il team di Marco Antonelli e girava con le Lamborghini".

"Da lì ho capito un po' come funzionassero gli accrediti e mi sono fatti prima tutti quanti i campionati dell'ACI racing weekend, quindi partendo dal GT italiano a tutte le categorie minori, le propedeutiche eccetera, peraltro ogni anno faccio almeno un weekend ACI, per avere anche uno storico mio. Poi l'obiettivo ovviamente era arrivare alla Formula 1 perché l'obiettivo era grande, ho provato una volta e mi hanno detto di no perché è molto selettiva su queste cose, ho provato una seconda volta e mi hanno detto di no un'altra volta e mi sono detto 'ma cosa posso fare per arrivare lì?" 

"Ovviamente mi servivano dei pubblicati grossi, mi serviva tanta esperienza, quindi cosa ho fatto: ho iniziato dalla Superbike, così mi sono creato un minimo di pubblicati per fare la MotoGP nel 2018 e nel 2019 ho fatto di nuovo la richiesta d'accesso alla FIA nel suo portale, mi hanno accettato e sono andato subito a fare i test". 

"Mi sono detto 'mi danno quest'opportunità e io la sfrutto, male che vada non faccio una gara e vado a fare i test, però almeno una volta nella vita la Formula 1 l'ho fatta. Ti dico solo che il centro accrediti apriva alle 6 di mattina ed alle 5:59 io ero davanti al centro accrediti. Avevo 24 anni ed ero lì, quindi mi hanno stra virgolette sempre visto all'inizio un po' come il cucciolo del gruppo, però comunque ho fatto vedere che sì ero giovane ma sapevo stare al mondo, non ero mai sgarbato".

"La prima gara che avevo chiesto era stato Monaco 2019, che ho vissuto in una maniera surreale perché era appena morto Niki Lauda: un clima di tutto quanto buio, ha vinto Hamilton con secondo Vettel e lì ho fatto una foto che è la mia preferita, penso che sia la foto più bella che ho fatto a livello di podio".

ESCLUSIVA - Intervista ad Andrea Diodato, fotografo di Formula 1: «Vivo il mio sogno»

"Ho fatto Paul Ricard, ho fatto la Germania che è stata la mia prima gara sotto la pioggia e poi ho vissuto subito la prima volta a Monza con vittoria Ferrari, che è stata un'apoteosi. Io andavo a Monza a vedere le gare con mio nonno che veniva su da Taranto, perché era originario di Taranto e veniva su ogni anno, era morto due anni prima e quindi a Monza ho tanti ricordi legati a lui. Vedere vincere Ferrari la prima volta, la prima volta che vai a Monza con tanti ricordi legati, col fatto che io andavo con nonno, avevo visto dalle tribune l'ultima vittoria Ferrari di Fernando Alonso, è stata una roba assurda".

"Poi nel 2020 ovviamente c'è stato il COVID, non sono andato in pista per ovvie ragioni, perché davano gli accrediti solamente ai team. Nel 2021 avevano riaperto le richieste, e io mi sono detto 'faccio le richieste per tutta l'Europa', praticamente dal Portogallo - che era la prima - in poi, ho detto 'una me la daranno, non mi interessa quale ma una me la daranno'; e quell'anno ho fatto praticamente quasi tutte le gare, fino ad arrivare ad Abu Dhabi".

ESCLUSIVA - Intervista ad Andrea Diodato, fotografo di Formula 1: «Vivo il mio sogno»

"Nel 2022 ho fatto un paio di gare soltanto perché ho avuto dei problemi poi personali, mentre tra il 2023 ed il 2024 sono andato a una caterva di gare, cioè adesso io sono arrivato a 45 gare praticamente in Formula 1, e l'anno scorso mi sono fatto anche la prima Le Mans con vittoria Ferrari, quindi diciamo che è andato veramente di lusso il tutto".

"Mi sono dimenticato di dirti che ho fatto anche tanta Formula E, la prima volta nel 2017 o giù di lì, onestamente non mi ricordo, ma è stato il primo anno di Roma. Da lì nasce la 'leggenda' del mio marchio distintivo: un cappello rosa stupido, perché ero andato a Roma e mi ero scordato il cappellino normale, nero, classico come c'erano tutti, ed ero appena andato a fare delle tappe del Giro d'Italia, quindi questo rosa era l'unico cappellino che avevo. L'ho indossato e la settimana dopo mi avevano chiamato quelli che organizzavano il Gran Premio di Formula E di Zurigo, chiedendomi di fare da ufficiale per Zurigo, è l'unica roba che era diversa dal solito, e quindi da lì non l'ho più tolto. Poi ho sempre avuto macchine fotografiche con la cover gialla ed alla fine ho scoperto che negli anni facendo corsi ecc. mi sono creato una sorta di personal branding senza saperlo".

"Adesso sto curando la Kings League, quindi mi sono trovato poi ad avere i più grandi streamer del mondo davanti a me. Eppure io tratto tutti allo stesso modo, dai cantanti agli attori, dai personaggi pubblici ad una coppia di ragazzi che mi ha chiesto di fare il fotografo per il loro matrimonio. Credo che le persone apprezzino molto questo. Non sono uno che fa le cose a convenienza, non me ne frega veramente nulla, non è il mio genere di cosa, però quando un cliente o una persona dall'altra parte vede questa cosa e sanno che tu ti devi rapportare a gente che comunque a livello sociale, ha un impatto".

FP: "Devo dire che sei stato molto esaustivo, quindi non ho tanto altro da chiederti. Abbiamo parlato prima del tuo cappellino rosa portafortuna e sappiamo che sei stato uno dei fotografi colpiti dall'incidente di Pérez a Monaco, quindi volevo solo chiederti come hai vissuto quel momento lì e poi un consiglio per i ragazzi che magari vogliono entrare in questo ambito, cosa diresti al te di 10 anni fa ad esempio".

AD: "Certo. Come ho detto Monaco in realtà non l'ho vissuta con paura, perché l'abitudine a stare con loro ti porta a vivere la velocità un po' come la vivono loro, nel senso che loro vanno al 300 km/he si muovono, però tu allo stesso modo li vedi passare al 300 km/h e hai l'abitudine al movimento. Però diciamo che io lavoro tanto con le orecchie, perché secondo me è molto più importante sentire che non vedere quando sei in pista perché l'udito è tanto, il rumore di un motore che non va bene, per cui magari vuol dire che una macchina si può fermare, mentre nel mio caso ho sentito lo stridio delle gomme e ho subito capito che c'era un incidente". 

"Ho intravisto il fumo, ho visto Perez che stava arrivando con Magnussen addosso, ma in realtà ho continuato a fare le foto fin quando sapevo che la distanza e il tempo me lo permettevano. Ho vissuto quel momento in maniera 'rallentata', conscia fino al punto limite dove ho pensato 'ok qua mi faccio male davvero". Poi mi ha preso il pezzo e c'era molta adrenalina e paura da parte degli altri, perché ripeto io alla fine sono un po' quello più piccolo, lì erano tutti italiani e c'erano persone di 50, 55, 60 anni: potrei essere benissimo il loro figlio".

"Mi ha preso il pezzo e ovviamente ho cacciato un urlo, la prima cosa che ho sentito è stato un mio collega che mi fa 'che cosa hai fatto?' Quindi li capisci che comunque si stanno preoccupando per te, poi ero giù per terra, arrivavano ancora tutti i pezzi di carbonio che si depositavano dopo lo schianto, facevo fatica a vedere... Ho chiesto dell'acqua e poi mi hanno portato in ospedale semplicemente perché era la prassi, ma anche lì il fatto di avere fatto esperienza nei professionisti [con il calcio, ndr] mi ha aiutato tanto, perché conosci il tuo corpo".

"Quindi arrivato in ospedale ho detto ai mediti 'guardate è una botta, non c'è niente di rotto, lasciatemi andare' perché volevo tornare giù, pensavo solo al fatto che Charles [Leclerc, ndr] era primo e avevo tanta adrenalina in corpo. L'unica cosa che pensavo era torna in pista e andiamo a fare le foto al podio perché se succede [la vittoria di Leclerc, ndr] è storia".

"Quindi io sono stato in ospedale 20 minuti, poi sono arrivati i miei genitori che per la prima volta erano venuti a Monaco. Loro pensavano che volessi andare a casa, ma non ci pensavo proprio, mia madre mi ha detto 'tu non sei mica normale', il che è la realtà dei fatti perché poi bisogna essere consci che quello che fai è una cosa pericolosa, con le macchine che ti sfrecciano. Però in fondo sapevo di non potermi perdere il momento del podio, quindi sono tornato in pista, l'ho visto e fotografato: è stata davvero un'emozione unica".

"Il consiglio che darei a chi vuole fare questo lavoro è di avere pazienza, di non pensare subito alla Formula 1, perché il motorsport non è solo la Formula 1, la Formula 1 è solamente l'apice. Fate le cose per gradi senza bypassare gli step, senza cercare qualcuno che vi porta dentro, perché poi a livello lavorativo rischiate di bruciarvi. E poi dovete avere voglia di fare tanti sacrifici: è un lavoro che vi porta a stare fuori da casa una vita, io penso di passare fuori da casa tra Formula 1 e altri eventi 6 mesi, 5 mesi all'anno; quindi devi essere anche pronto anche ad affrontare queste cose. Però io sto vivendo il mio sogno e non potrei chiedere altro".

FP: "Che dire Andrea, è stato un grandissimo piacere. Grazie e buon lavoro".

AD: "Il piacere è stato mio, grazie a te".

P.S. Vi lasciamo alcuni fantastici scatti di Andrea che meritano assolutamente di essere visti: seguitelo sul suo profilo Instagram per non perderveli!

ESCLUSIVA - Intervista ad Andrea Diodato, fotografo di Formula 1: «Vivo il mio sogno»

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Foto copertina - Profilo Facebook di Andrea Diodato (www.facebook.com)

Foto interne - Andrea Diodato


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